«Una tragedia economica ed ambientale». Con queste parole Vytenis Andriukaitis, commissario europeo alla Salute e alla sicurezza alimentare, ha condannato senza mezzi termini il fenomeno degli sprechi alimentari, annunciando all’inizio della settimana l’inserimento di linee guida ad hoc per l’UE nel pacchetto di misure per l’economia circolare che si discuterà a Bruxelles nei prossimi mesi.
I numeri messi in fila da Andriukaitis lasciano atterriti: tra i 28 Paesi membri dell’Unione lo spreco alimentare ammonterebbe a circa 100 milioni di tonnellate ogni anno e le contromisure procedono in ordine sparso, legate ad iniziative isolate (come la legge anti-sprechi varata dal parlamento francese) mentre su scala mondiale il fenomeno genera circa l’8% delle emissioni globali di gas serra. Una portata che ha spinto a sottoscrivere l’impegno sui nuovi target di sviluppo sostenibili proposti dall’Onu; target che prevedono di dimezzare questi sprechi entro il 2030 agendo a partire dalla raccolta sul campo fino ai vari passaggi della filiera industriale e, ovviamente, sulla dimensione della distribuzione e su quella domestica.
Il punto di partenza assunto dalla Commissione è quello di elaborare e sviluppare dei parametri condivisi, «una metodologia comune – ha detto Andriukaitis – per misurare lo spreco alimentare» con un sistema chiaro di tracciabilità. In questo modo si avrà una visione univoca sul problema e sulle sue proporzioni, dunque si potranno attivare le contromisure. In primo piano la possibilità di rimuovere i limiti al riuso e migliorare la comunicazione commerciale nella fase di distribuzione.
Ma il dibattito non si è fermato a Bruxelles: in settimana la Commissione Ambiente di Montecitorio ha discusso alcune proposte di legge di iniziativa parlamentare per implementare le misure in linea con la direttiva quadro europea già vigente e che permetterebbero all’Italia di fare alcuni passi in avanti nella limitazione degli sprechi, tra cui la regolamentazione della distribuzione delle eccedenze di produzione tramite istituti no-profit, incentivabile mediante sgravi sulla tariffa rifiuti o con l’inserimento di tali pratiche tra i requisiti premianti nell’assegnazione di bandi pubblici nel settore della ristorazione.