Si riaccende lo scontro tra le imprese dell’acciaio e i riciclatori di rottame dopo il voto dell’europarlamento sulla riforma del regolamento UE sull’export di rifiuti. “No alla demonizzazione delle esportazioni” ha detto a Siderweb la vice presidente di EuRIC e Assofermet Cinzia Vezzosi
Il voto dell’europarlamento sulla proposta di riforma del regolamento europeo sull’export di rifiuti riaccende lo scontro tra i produttori di acciaio e i riciclatori e commercianti di rottame in ferro. Il giro di vite chiesto da Bruxelles, e appoggiato dalla plenaria, punta infatti a contrastare il traffico illegale ma anche a trattenere rifiuti e materiali riciclati dentro i confini dell’Unione per spingere l’economia circolare e, nel caso del rottame di ferro, la transizione ecologica dell’industria siderurgica. Che oggi però usa solo una parte del rottame reso disponibile dalle imprese del riciclo: nel 2021 a fronte di una produzione di 152,6 milioni di tonnellate di acciaio sono infatti stati rifusi 87,9 milioni di tonnellate di rottami ferrosi, mentre altri 19,5 milioni di tonnellate non assorbiti dalle imprese europee (che per circa la metà funzionano ancora con il ciclo tradizionale basato su carbone e minerale di ferro) sono finiti fuori dai confini dell’UE, soprattutto in Turchia (14,7 milioni), rappresentando il 59% degli scarti esportati dai paesi dell’Unione.
“I nostri progetti a basse emissioni di carbonio avranno bisogno di molti più rifiuti ferrosi già entro il 2030 e di quantità ancora maggiori entro il 2050 per produrre acciaio verde” ha garantito Axel Eggert, direttore generale dell’associazione europea dell’acciaio Eurofer, che per questo plaude al giro di vite proposto da Commissione e Parlamento, chiedendo misure ancora più severe per limitare i flussi in uscita dall’Unione. “Siamo assolutamente a favore della decarbonizzazione dell’industria siderurgica, ma siamo contrari alla demonizzazione delle esportazioni di rottame”, ha replicato Cinzia Vezzosi, vicepresidente dell’associazione europea dei riciclatori EuRIC (e della italiana Assofermet) nel corso di un webinar di Siderweb. “Abbiamo più di 20 milioni di tonnellate che sul mercato europeo non trovano collocazione in questo momento. Non avremmo difficoltà a metterle a disposizione delle acciaierie europee qualora ciò venisse richiesto”.
Quella dei riciclatori, insomma, non è un’opposizione pregiudiziale a tenere i rottami dentro i confini dell’UE, a patto però che siano stabiliti in maniera chiara i tempi e le condizioni economiche della transizione. Quello che serve, ha chiarito Vezzosi, è “che ci sia una fase di phase out, perché andare verso una maggiore ricollocazione del rottame all’interno dell’UE ‘dalla sera alla mattina’ metterebbe l’intero settore in forte crisi”. Il rischio, infatti, è che un repentino eccesso di offerta rispetto alla domanda interna possa far crollare i valori di mercato del rottame, proprio nella fase in cui le imprese di settore sono chiamate a sostenere maggiori investimenti in tecnologia per aumentare la qualità dei materiali in uscita dagli impianti di riciclo. “Investimenti che già in alcuni casi vengono fatti (per esempio in scanner ottici, scanner a infrarossi ecc.) – ha detto Vezzosi, chiarendo che – questo in linea di principio non è un problema, purché venga riconosciuto un maggior prezzo del rottame riciclato“.
Il nodo centrale per i riciclatori, insomma, resta legato al prezzo che le acciaierie saranno disposte a riconoscere nel caso in cui non fosse più possibile accedere ai canali dell’export di rifiuti extra UE. Soprattutto quelli verso la Turchia, che con la sua domanda basta da sola ad assorbire quasi tutto il surplus di rottame dell’UE e che per questo influenza anche l’andamento del prezzo a tonnellata sul mercato dell’Unione. Nei primi mesi del 2023, ha spiegato Vezzosi, la forte richiesta delle acciaierie turche “ha spinto verso livelli molto importanti” i valori, fino a “un massimo di 423 dollari la tonnellata”. Se i riciclatori bussano alla porta delle acciaierie chiedendo garanzie sui prezzi, per l’industria siderurgica la priorità resta quella di contrastare forme di dumping ambientale. Secondo Eurofer, la riforma del regolamento europeo sulle esportazioni, che punta soprattutto a ridurre l’invio di frazioni problematiche di rifiuti verso i paesi non OCSE, dovrebbe rendere più severi anche i controlli sui trasferimenti verso i paesi OCSE. Tra i quali, non a caso, c’è proprio la Turchia.
Pur plaudendo alla proposta di riforma della Commissione, e al parere positivo espresso dal Parlamento, secondo Eurofer infatti “persisteranno rischi significativi di elusione finche non sarà garantita un’autentica parità di condizioni tra l’UE e i paesi terzi, in particolare per quanto riguarda le condizioni ambientali, sociali, di sicurezza e sanitarie nella spedizione dei rifiuti e nell’ulteriore trattamento”. Il testo approvato dalla plenaria, secondo l’associazione, andrebbe rafforzato introducendo “un sistema di monitoraggio più forte applicato ai flussi di rifiuti più esportati verso i paesi OCSE, compresa un’efficace verifica della conformità alle linee guida ESM (Environmentally Sound Management)“. Inequivocabile, anche se tra le righe, il riferimento ai circa 15 milioni di tonnellate di rottame finiti in Turchia nel 2021. Il sospetto dei riciclatori, però, è che dietro lo spauracchio del dumping ambientale si nasconda in realtà il tentativo della siderurgia europea di esercitare maggiore controllo sui prezzi del rottame scambiato nel Vecchio Continente. Con le vie dell’export chiuse, e alla luce del surplus che ne deriverebbe, a fissare il valore degli scambi sarebbero infatti quasi esclusivamente i produttori di acciaio, liberi una volta per tutte dalla concorrenza di Ankara.