Circa il 20% dei casi di incendio in impianti di trattamento e smaltimento rifiuti ha origine dolosa, e per uno su due le indagini sono a carico di ignoti. La maggior parte dei roghi in questo genere di impianti – circa la metà – è avvenuta a nord, confermando una inversione del flusso dei rifiuti. La direzione è quella verso il settentrione del Paese più ricco di impianti, e quindi un ruolo nel fenomeno lo gioca la carenza impiantistica che si rileva nel resto del Paese, che oltretutto porta anche ad accumuli eccessivi di materiali da trattare. Questi, in estrema sintesi, alcuni dei dati della relazione della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati, la “Ecomafie“, sul fenomeno degli incendi negli impianti. Ben 261 i casi censiti dalla Commissione. “Che il 47,5% degli incendi sia avvenuto nelle Regioni del nord è un elemento di attenzione che si incrocia con una presenza maggiore di impianti e un’inversione del flusso dei rifiuti- spiega Chiara Braga, presidente della commissione Ecomafie- oltre che alla maggiore urbanizzazione” dell’area. I restanti casi sono stati rilevati per il 16,5% al centro, il 23,7% al sud e il 12.3% nelle isole.
A fronte di questi “numeri crescenti” sui numeri degli incendi di impianti di trattamento e smaltimento rifiuti, si legge ancora nella relazione della commissione Ecomafie, “la risposta giudiziaria risulta non omogenea e non particolarmente incisiva negli esiti“. Pesa in diversi casi la “mancata conoscenza degli eventi” da parte delle Procure, che deriva dal fatto che gli incendi all’interno degli impianti “in alcuni casi non vengono segnalati come notizie di reato”. Si tratta di “non meno di un terzo dei casi, ma si deve ritenere che il numero possa essere maggiore”. Quindi, la “cifra oscura” in questa materia “potrebbe rivelarsi ulteriormente amplificata” dalla “gestione domestica” di alcuni eventi da parte delle aziende interessate senza il coinvolgimento dei vigili del fuoco. Circa la metà degli eventi ha dato luogo a procedimenti penali a carico di ignoti, “che tali, nella quasi totalità, sono rimasti sino all’archiviazione”. L’esercizio dell’azione penale ha riguardato il 13% dei casi (39,1% pendenti, 47,9% archiviati): solo in 5 casi è stata segnalata l’azione penale per il delitto di incendio, doloso o colposo, mentre negli altri casi l’incendio è stato l’occasione per accertare altri reati ambientali, derivanti da irregolarità nella gestione degli impianti.
Ci sono poi determinanti legate a congiunture nazionali e internazionali – come lo stop giunto dalla Cina all’importazione di 4 classi e 24 tipologie di rifiuti solidi – che possono portare a situazioni di sovraccarico di materia “non gestibile che quindi dà luogo a incendi “dolosi liberatori”, si legge ancora nella relazione. Quel che serve è “una adeguata programmazione di controlli” con “una piena e totale conoscenza dello stato degli impianti da parte delle autorità competenti” che potrà garantire l’accertamento delle conseguenze ambientali. Il tema degli incendi negli impianti di trattamento e smaltimento di rifiuti “costituisce campo di prova di una capacità di coordinamento tra soggetti pubblici e di visione integrata dei problemi ambientali e del ciclo dei rifiuti, in difetto della quale non potrà esservi adeguata prevenzione del fenomeno”, conclude la relazione.