Depurazione, dalla nuova direttiva Ue costi ulteriori fino a 6,1 miliardi

di Redazione Ricicla.tv 26/09/2024

Gli obblighi di trattamento avanzato previsti dalla nuova direttiva europea sulla depurazione potrebbero generare costi di investimento fino a 6,1 miliardi di euro, calcola uno studio di CNR-IRSA e Utilitalia. L’80% dei costi dovrà essere coperto dai produttori di farmaci e cosmetici ai sensi della responsabilità estesa. Tania Tellini: “Fondamentale declinarne al meglio l’applicazione”. E si sblocca anche la riforma della disciplina sul riutilizzo dei fanghi in agricoltura


Dopo l’accordo raggiunto da Consiglio e Parlamento Ue è attesa entro la fine di questo autunno la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale europea della nuova direttiva sul trattamento delle acque reflue. Una riforma destinata a spostare in alto l’asticella degli standard di qualità dei trattamenti, rafforzando i parametri di disinquinamento ed estendendo lo scopo della disciplina anche sul fronte della neutralità carbonica. Una rivoluzione che chiamerà l’Italia, già impegnata a chiudere quattro procedure d’infrazione in materia, a moltiplicare i propri sforzi anche e soprattutto in termini economici. Nello specifico, per adeguare i sistemi di depurazione ai parametri sugli inquinanti emergenti previsti dalla nuova direttiva serviranno investimenti fino a 6,1 miliardi di euro e costi operativi fino a 800 milioni all’anno, come emerso da uno studio realizzato da Utilitalia e da CNR-IRSA e presentato a Firenze nel corso dell’ultima giornata del Festival dell’Acqua.

Stando all’intesa raggiunta nei mesi scorsi da Commissione, Consiglio e Parlamento, la nuova direttiva prevede, tra l’altro, che il trattamento terziario (rimozione di fosforo e azoto) e quello quaternario (microinquinanti) siano obbligatori rispettivamente dal 2039 e dal 2045 per tutti gli agglomerati superiori ai 150mila abitanti equivalenti. La rimozione dei microinquinanti, nello specifico, si annuncia già come una sfida particolarmente ambiziosa. Secondo lo studio, che ha coinvolto 23 gestori e 55 impianti, alcune sostanze, in particolare i composti farmaceutici, faticano a essere abbattute secondo le percentuali richieste dalla direttiva da trattamenti convenzionali e richiederanno l’adozione di sistemi di trattamento avanzati come ozonizzazione o carboni attivi. Il costo stimato per adeguare gli impianti va da un minimo di 1,6 e un massimo di 6,1 miliardi di euro. Non tutti però saranno a carico dei gestori idrici, visto che tra le principali novità della direttiva in via di approvazione c’è proprio l’introduzione del principio ‘chi inquina paga’ anche nel campo della depurazione, con l’obbligo per l’industria cosmetica e farmaceutica di istituire regimi di responsabilità estesa del produttore.

“Per la prima volta – spiega Tania Tellini, direttore del settore acqua di Utilitalia – la direttiva europea prevede, secondo il principio ‘Chi inquina paga’ e la Responsabilità Estesa del Produttore (EPR), che l’80% dei costi legati all’abbattimento di queste sostanze vengano pagati dai produttori. Si tratta di un approccio decisamente innovativo per il settore idrico, mutuato da quanto già da tempo previsto nei rifiuti, per cui è importante comprendere come declinare al meglio l’applicazione di questa importante novità”. Come sottolineato anche dall’associazione europea EurEau nel corso dei negoziati sulla direttiva, il timore dei gestori idrici, infatti, è che una non adeguata ripartizione dei costi – di investimento e operativi – tra produttori e gestori possa tradursi in aumenti eccessivi delle tariffe idriche a carico dei cittadini. “Grazie a Utilitalia e alla partecipazione attiva delle aziende – sottolinea Camilla Braguglia, ricercatore CNR-IRSA – contribuiamo ad aumentare le conoscenze sulla presenza, diffusione e rimozione di questi composti nelle acque di scarico (che per loro natura sono nettamente diverse dalle acque potabili che beviamo in sicurezza ogni giorno) con l’obiettivo congiunto di individuare strategie per la protezione dell’ambiente tramite la preziosa collaborazione tra il mondo della ricerca e della gestione”.

Sempre in tema di depurazione, nel corso del Festival dell’Acqua sono arrivate novità anche sul fronte della valorizzazione dei fanghi in agricoltura. Dopo innumerevoli tentativi a vuoto di aggiornare la disciplina nazionale di riferimento – il decreto legislativo 99 del 1992, che ha più di trent’anni e andrebbe adeguato alle tecnologie attuali e ai principi dell’economia circolare – il Ministero dell’Ambiente sembra finalmente deciso a portarne termine la revisione. “Dopo uno stallo che durava dal 2019 abbiamo ripreso, su impulso del vice ministro Gava, il lavoro tecnico con il Ministero delle Politiche Agricole, ISPRA e ISS – ha annunciato al Laura D’Aprile, capo dipartimento sviluppo sostenibile del MASE – un lavoro che intendiamo portare a termine quanto prima in linea con la Strategia Nazionale per l’Economia Circolare, riforma abilitante del PNRR”. Un decreto, ha spiegato, che si concentrerà su tre elementi principali: il fosforo, materia prima critica, la necessità di accorciare la catena di approvvigionamento dei fertilizzanti e il tema delle metodiche analitiche per gli idrocarburi, che va risolto con il supporto di ISPRA ed SNPA. “Accogliamo con soddisfazione questo annuncio – commenta il presidente di Utilitalia, Filippo Brandolini – in quanto il principale limite che stiamo riscontrando da anni rispetto a una corretta gestione dei fanghi di depurazione riguarda proprio una normativa ormai vetusta, che risale al 1992 e che necessita di un aggiornamento. È quanto mai necessaria una forma che renda conto dei mutati scenari e dell’evoluzione tecnologica degli ultimi anni”.

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