Stando al Programma Nazionale di Gestione dei Rifiuti le Regioni dovranno tracciare l’amianto generato dalle attività di bonifica e indicare quali e quanti impianti realizzare per gestirlo sul territorio
Entro i prossimi 18 mesi le Regioni dovranno aggiornare i propri piani di gestione dei rifiuti riportando il fabbisogno di smaltimento dei flussi contenenti amianto e indicando quali e quanti impianti realizzare per gestirli in sicurezza sul territorio, riducendo il ricorso a onerose spedizioni verso altre Regioni o nazioni ma anche scongiurando il rischio di abbandono incontrollato. Lo prevede il Programma Nazionale di Gestione dei Rifiuti approvato nei giorni scorsi dal Ministero della Transizione Ecologica, che stabilisce i criteri e le linee guida che le amministrazioni regionali dovranno seguire nella redazione dei propri piani, con l’obiettivo di “orientare le politiche pubbliche ed incentivare le iniziative private per lo sviluppo di un’economia sostenibile e circolare”. Una strada che passa anche per il rilancio delle attività di bonifica dei beni contaminati dalla fibra killer che, messa al bando nel 1992, ancora infesta l’intero territorio nazionale. Soprattutto nella forma di manufatti per l’edilizia, dalle coperture alle tubazioni passando per pannelli isolanti e controsoffittature. Da rimuovere e smaltire in sicurezza in impianti di discarica opportunamente autorizzati, che stando al Programma Nazionale, dovranno essere collocati entro i confini regionali. “Il fabbisogno di smaltimento dev’essere individuato a livello regionale, anche sulla base della presenza di eventuali impianti di inertizzazione, che consentano quindi di inviarlo, a determinate condizioni, in discariche per rifiuti non pericolosi” spiegava lo scorso marzo Laura D’Aprile, capo dipartimento per lo sviluppo sostenibile al Ministero della Transizione Ecologica, in occasione del trentennale della messa al bando dell’amianto.
Complessivamente sono 108mila i siti interessati dalla presenza di amianto censiti dal MiTE, ma la banca dati compilata con il contributo degli enti locali tuttavia, si legge nel Programma, “risulta ancora non omogeneamente popolata“. Entro il 30 giugno di ogni anno Regioni e Province autonome dovrebbero inviare una mappatura aggiornata e dettagliata, ma da sempre si procede in ordine sparso. I luoghi da bonificare, insomma, sono molti di più. Secondo stime di Inail, a fronte delle 8 rimosse dalla data del bando, resterebbero da rimuovere e smaltire in sicurezza ancora 23 milioni di tonnellate di materiali, ma gli impianti attualmente autorizzati potrebbero non bastare ad accogliere tutti i rifiuti generati dalle attività di risanamento. Stando al Programma, le discariche operative sono 19 (9 al Nord, 2 al Centro e 8 al Sud), ma “in previsione dello smantellamento e bonifica dei manufatti contenenti amianto presenti sul territorio nazionale, si rende necessaria un’implementazione del sistema impiantistico“. Anche perché minore è la disponibilità negli impianti, maggiori sono i costi delle operazioni di bonifica. E questi, a loro volta, condizionano l’avanzamento delle attività di rimozione, come sembrano dimostrare i dati pubblicati da Ispra nell’ultimo rapporto sulla produzione e gestione dei rifiuti speciali, secondo cui le quantità di rifiuti contenenti amianto generate dalle attività di smantellamento di manufatti contaminati sono passate in dieci anni dalle oltre 530mila tonnellate del 2012 alle 385mila del 2020.
Insomma generiamo sempre meno rifiuti contenenti amianto. E non perché manchino i siti da risanare, visto che secondo il MiTE al 31 dicembre del 2020 dei 108mila contaminati ne risultavano bonificati appena 7mila 905 mentre in 4mila 300 casi gli interventi erano stati completati solo parzialmente. Né tanto meno per carenza di risorse da destinare alle bonifiche. Nel periodo tra 2014 e 2020 per le sole rimozioni negli edifici pubblici sono stati messi a disposizione di Regioni e Province ben 385 milioni di euro in fondi per lo sviluppo e la coesione, ma gli interventi ammessi a finanziamento ne hanno impegnati poco meno di 97. Oltre alle ben note complessità burocratiche, che soprattutto nei Comuni di piccole dimensioni possono fare da autentico disincentivo, “il tema è quello delle difficoltà legate allo smaltimento” chiariva D’Aprile. “Il Programma Nazionale di Gestione dei Rifiuti prevede che nei piani regionali debbano essere riportati anche gli impianti per smaltire sul territorio l’amianto prodotto – sottolineava la dirigente del MiTE – i rifiuti non devono più viaggiare sul territorio nazionale o addirittura andare all’estero (8mila tonnellate nel 2020, ndr), ma ognuno deve intercettare, quantificare e gestire i flussi a livello regionale“.