Entro il prossimo 11 dicembre i membri del Wto, l’organizzazione globale che regola i rapporti commerciali tra i 161 Stati che ne fanno parte, dovranno decidere se conferire alla Cina lo status di Mes (acronimo che sta per Market Economy Status), ovvero se riconoscerla a tutti gli effetti come economia di mercato. Al momento, infatti, la Cina è sì parte del Wto, ma con lo status di Nme (Non-Market Economy), visto che buona parte delle sue attività industriali non rispetta alcuno standard di tutela sociale ed ambientale (sebbene le autorità cinesi stiano provando ad invertire questa tendenza) e, soprattutto, può giovare di consistenti aiuti di Stato. Cosa che permette alla seconda potenza mondiale di mettere sul mercato prodotti a prezzi estremamente competitivi, di fronte ai quali l’Europa si è tutelata negli anni imponendo dazi anti-dumping, tassando cioè l’importazione dei beni di produzione cinese “a buon mercato”. Tutto questo però potrebbe finire a breve. L’11 dicembre, appunto, quando saranno passati 15 anni dall’ingresso della Cina nel Wto e, stando al Protocollo d’accesso siglato nel 2001, decadrà ogni misura di protezione applicabile nei suoi confronti. Il tutto previo parere dei membri del Wto. Quindi anche dell’Ue, da tempo divisa in pro e contro Mes. Tra i primi Gran Bretagna, Olanda, Svezia, Danimarca, Finlandia, Belgio e Irlanda. Tra i secondi Francia, Italia e, ma non è ancora ben chiaro, Germania.
Al coro di quanti si oppongono al riconoscimento dello status di Mes alla Cina si è aggiunta nei giorni scorsi anche EuRic, (European Recycling Industries Confederation), l’organizzazione europea delle industrie del riciclo, che in una nota ufficiale ha lanciato l’allarme per un settore in particolare: quello del riciclo dell’acciaio. Secondo EuRic, infatti, l’impennata delle importazioni di acciaio cinese, legata alla “overcapacity” produttiva che ha fatto seguito alla brusca contrazione della domanda interna in Cina (dovuta soprattutto al rallentamento dell’edilizia), sta già danneggiando i riciclatori europei. Il prezzo dell’acciaio cinese, estremamente competitivo, sta infatti mettendo fuori mercato l’acciaio prodotto a partire dai rottami ferrosi lavorati dai riciclatori europei, costringendo già diverse imprese a chiudere i battenti. In un simile scenario, il riconoscimento dello status di Mes alla Cina ed il conseguente decadimento di ogni misura di protezione per le imprese europee potrebbe avere ricadute devastanti. Anche e soprattutto per l’Italia.
Nel 2014 sono state prodotte a livello globale un miliardo 665mila tonnellate di acciaio. La Cina da sola ne ha prodotte 823 milioni (il 49%), mentre l’Unione Europea 169 milioni, di cui 43 milioni prodotte in Germania e 23,7 in Italia, la seconda siderurgia europea. Povera com’è di materie prime, per alimentare la sua industria dell’acciaio l’Italia può fare affidamento quasi esclusivo alla filiera del riciclo dei rottami, che da sola provvede a fornire alle fornaci italiane (rigorosamente elettriche) la quasi totalità della materia prima impiegata nei cicli siderurgici. Se importare acciaio cinese diventasse in via definitiva più conveniente che produrlo in Italia, complice il venire meno dei dazi anti-dumping, per i riciclatori italiani (già messi a dura prova dalle controverse misure in materia di raccolta dei rottami contenute nella legge “Green Economy”) si aprirebbero scenari davvero poco incoraggianti.
Come sono poco incoraggianti i dati contenuti nell’ultimo rapporto sulla “overcapacity” cinese stilato dalla Camera di Commercio europea di Pechino, che dimostrano quanto, indipendentemente dallo status di Mes o Nme, l’importazione di acciaio a buon mercato dalla Cina stia già compromettendo la tenuta dell’intero settore siderurgico nel Vecchio Continente. “Tra il gennaio e l’ottobre del 2015 – si legge nel rapporto – l’export di acciaio cinese in Ue è salito a sette milioni di tonnellate, con un aumento del 41% sullo stesso periodo del 2014”. Tutto questo nonostante il Ministero dell’Industria di Pechino abbia provato a mettere in campo misure per ridurre il gap tra produzione ed utilizzo di acciaio, puntando entro il 2017 ad un target di utilizzo interno pari all’80% della produzione complessiva. Misure rimaste però solo sulla carta. “Le politiche avrebbero dovuto divenire efficaci entro il luglio 2015 – si legge nel dossier – ma in realtà a fine 2015 non erano ancora state implementate“. Motivo per cui, nei giorni scorsi, migliaia di rappresentanti della siderurgia europea (sia lavoratori che imprenditori) hanno manifestato a Bruxelles chiedendo all’Ue misure a protezione del comparto. Un appello al quale, adesso, si aggiunge anche la voce dei recuperatori di rottami.
«In un momento storico in cui l’Unione Europea sta lottando per passare da un’economia lineare ad un’economia circolare, un gran numero di imprese attive nel riciclo dei rottami di ferro in Europa sta paradossalmente chiudendo i battenti, temporaneamente o definitivamente, dal momento che i livelli di prezzo compromettono la possibilità di sopravvivenza dei riciclatori» sottolinea Emmanuel Katrakis, segretario generale di EuRic. Nel confermare la propria contrarietà alla concessione dello status di Mes alla Cina, l’organizzazione fa appello alla Commissione Europea perchè, nella transizione verso un’economia circolare, venga adottato «un approccio olistico e coerente che attraversi l’intero spettro delle politiche in materia». In particolare EuRic chiede all’Ue misure a supporto del mercato interno dei materiali riciclati, così come interventi concreti per correggere le distorsioni nella concorrenza ed incentivi per fare in modo che i prezzi di mercato riflettano i benefici ambientali e sociali delle attività di riciclo in termini di riduzione delle emissioni e risparmio di energia e risorse naturali.
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