Secondo Eurostat nel 2021 l’Italia è risultata la penultima nazione Ue per tassi di recupero dei veicoli fuori uso, con un 84,3% distante oltre dieci punti dal target vincolante del 95%. Il presidente di AIRA Stefano Leoni: “Impossibile immaginare un miglioramento a breve”. La strada verso una nuova procedura d’infrazione sembra spianata
Dopo l’apertura di una doppia procedura d’infrazione per l’errato recepimento della direttiva quadro rifiuti e il mancato raggiungimento dei target su riciclo e raccolta dei raee, c’è un’altra filiera nazionale del recupero che resta sotto osservazione da parte dell’Ue, quella dei veicoli a fine vita, sempre più vicina all’apertura di un nuovo contenzioso con Bruxelles. Stando agli ultimi dati diffusi da Eurostat, a fronte di una media europea di recupero complessivo del 93,6% – calcolata sul peso dei componenti dei veicoli dismessi avviati a riciclo, riuso e recupero energetico – nel 2021 con il suo 84,3% l’Italia si è collocata tra le ultime tre nazioni, peggio della Lettonia (85,8%) e meglio della sola Malta (80,8%). Secondo l’ultimo report ISPRA sui rifiuti speciali, la situazione è rimasta sostanzialmente invariata anche nel 2022, sebbene a fronte di un aumento delle percentuali di riciclo e reimpiego, giunte all’86%. Un incremento che vede il paese superare l’obiettivo specifico dell’85% di riutilizzo delle parti di ricambio e riciclo dei materiali, ma che non basta ad avvicinare quello di recupero complessivo, fissato al 95%. Obiettivo che dal 2015 è vincolante e dal quale, tuttavia, restiamo lontani di quasi dieci punti percentuali.
“Il problema – spiega Stefano Leoni, presidente di AIRA, associazione dei riciclatori di auto – resta la gestione del cosiddetto ‘car fluff’“. Ovvero il residuo eterogeneo della frantumazione dei veicoli, costituito soprattutto da gomme e plastiche contenute nei componenti non rimossi in fase di demolizione. Come paraurti, cruscotti, cavi o imbottiture. “E rimarrà così anche negli anni a venire”, chiarisce, visto che, nonostante l’ottimo potere calorifico, il recupero energetico del car fluff nel nostro paese non ha mai preso piede. E infatti il residuo finisce quasi tutto a smaltimento in discarica: oltre 162mila sulle quasi 200mila tonnellate prodotte nel solo 2022, secondo ISPRA. “Gli impianti che fanno trattamento termico esistono, ma non sono autorizzati a ricevere questa frazione – dice Leoni – e, se lo sono, per motivi di carattere economico e sociale preferiscono non accettarla”. Sul piano economico pesa ad esempio il fatto che il fluff abbia un potere calorifico ben più elevato di quello dei rifiuti urbani indifferenziati. Per questo, i gestori degli impianti di recupero energetico, che sono tenuti a rispettare un limite massimo autorizzato per il carico termico sviluppato dalla combustione, preferiscono destinare gli spazi liberi agli urbani, che possono essere bruciati in quantità maggiori e garantire maggiori guadagni. E visto che un eventuale impianto dedicato non si costruisce dall’oggi al domani, chiarisce Leoni, “né nel 2023 né nel 2024 è possibile immaginare un miglioramento”. La strada verso una nuova procedura d’infrazione sembra insomma spianata.
Sul tema, spiega Leoni, “abbiamo già allertato il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, ma al momento – dice – le soluzioni restano due: andare in discarica o andare all’estero. Nel primo caso – spiega – non si raggiungono i target europei. Nel secondo, invece, si impongono agli operatori costi che non sono remunerati dalla vendita dei materiali ricavati dalla frantumazione”. Costi, quelli per il recupero energetico all’estero, che incluse le spese di trasporto si aggirano oggi intorno ai 250 euro la tonnellata e che, dicono i frantumatori, dovrebbero essere a carico dei produttori di veicoli, quindi delle case auto, nel rispetto del principio della responsabilità estesa. Un principio che la nuova proposta di regolamento sui veicoli a fine vita, in discussione in Ue, punta a rafforzare, attribuendo tra l’altro proprio alle case auto un ruolo più centrale, anche in termini di impegno economico, nella gestione del fine vita dei veicoli. Sarà d’aiuto per l’Italia oppure no? “Bisogna fare in modo che il meccanismo della responsabilità estesa venga a coprire i costi ulteriori di trattamento“, chiarisce Leoni. Nel caso del ‘car fluff’, alla luce dell’inadeguatezza del parco impiantistico, “occorre dare copertura ai costi di esportazione all’estero“, chiarisce.
Nel complesso, la proposta di regolamento – che dopo la pausa estiva tornerà al centro dei lavori di Consiglio e Parlamento – introduce diverse innovazioni che potrebbero venire incontro alle esigenze dell’Italia “come l’obiettivo del 25% di riciclo della plastica o la spinta ad aumentare il reimpiego di determinati componenti, che potrebbero sottrarre dal ‘car fluff’ una parte di materiali”, dice Leoni, e quindi aumentare le percentuali di riciclo e reimpiego e ridurre le quantità di fluff da recuperare. Nello stesso spirito la proposta prevede di introdurre, entro tre anni dall’entrata in vigore del regolamento, il divieto di smaltimento in discarica dei residui che non siano prima stati sottoposti a un trattamento avanzato post frantumazione. Una previsione che gli Stati membri sembrano decisi a rafforzare alzando sensibilmente l’asticella della qualità dei processi. “Gli ultimi emendamenti proposti dalla presidenza belga del Consiglio europeo – chiarisce Leoni – fissavano dei valori limite per i componenti presenti nel ‘car fluff’ in uscita dagli impianti che, guarda un po’, possono essere rispettati solo utilizzando una tecnologia che oggi appartiene a un unico attore in Europa. Abbiamo chiesto al governo di intervenire per bloccare questa proposta e garantire agli operatori la piena libertà di scegliere la tecnologia più adatta a ridurre il ‘car fluff'”.