La definizione di ambiziosi target di riciclo dei rifiuti urbani è misura indispensabile per impedire che le frazioni valorizzabili degli rsu finiscano in discarica o in inceneritore, recuperando preziose risorse materiali e limitando i rischi ambientali dello smaltimento. Per questo al target del 50% al 2020 introdotto dalla direttiva europea quadro sui rifiuti del 2008 potrebbero presto aggiungersi i nuovi obiettivi previsti dal rivisitato pacchetto “Circular economy” presentato lo scorso 2 dicembre dalla Commissione europea e attualmente in esame all’Europarlamento di Bruxelles. Ma basteranno i soli obiettivi di riciclo a propiziare la nascita di una autentica economia circolare? C’è chi dice no. «I target proposti dalla Commissione aumenteranno l’offerta di materia prima seconda da rifiuto, ma non basteranno a crearne la domanda – dichiarano in un comunicato a firma congiunta Fead (Feredazione europea delle imprese gestrici di rifiuti) ed Euric (Confederazione europea dei riciclatori) – senza misure che favoriscano la nascita di un mercato sostenibile dei materiali riciclati, i benefici ambientali del recupero di materia da rifiuti, in termini di risparmio di risorse e di riduzione delle emissioni inquinanti, non saranno realizzati e non ci sarà alcuna base economica a supporto degli investimenti necessari a raggiungere gli obiettivi fissati dal pacchetto».
Il problema, spiega il comunicato, è soprattutto economico. Riciclare, ricordano infatti Fead ed Euric, in molti casi costa più che produrre materia vergine. Un gap che è il prodotto della complessità ed onerosità delle operazioni industriali di riciclo e della necessità per i riciclatori di mettere sul mercato materia prima seconda di qualità, che incontri gli standard richiesti dalle varie manifatture. «La qualità è sempre stata un obiettivo trainante per il mondo del riciclo – spiegano Fead ed Euric – ma al tempo stesso genera costi accessori. Questi però poi non si riflettono nei prezzi di mercato, che invece continuano ad essere correlati a quelli delle materie vergini, molte delle quali facilmente reperibili». Insomma, i costi del riciclo sono alti ma i valori di mercato devono rimanere bassi o si rischia di non essere competitivi. Il risultato è che per quanta materia prima seconda si possa ricavare dai rifiuti sottratti agli sversatoi o alle fiamme dei forni inceneritori, se non c’è nessuno che la compra perchè costa troppo o se le imprese del riciclo chiudono perchè non reggono la concorrenza dei produttori di materie vergini, allora il cerchio non si chiude. «Perchè una vera economia circolare possa funzionare – si legge infatti nel comunicato – il recupero di risorse materiali da rifiuti dovrà rivelarsi economicamente sostenibile, a prezzi che riflettano i costi reali della raccolta, selezione e riciclo dei rifiuti e della messa sul mercato della materia prima seconda per gli utilizzatori finali. Pertanto, è necessario remunerare i benefici ambientali del riciclo in modo tale da ripianare il dislivello di mercato con le materie vergini».
“Remunerare i benefici ambientali del riciclo”. Che tradotto significa incentivare economicamente il recupero di materia dai rifiuti. Un po’ come del resto accade già per le energie rinnovabili. Se il mercato, da solo, non prende la via della sostenibilità ambientale, allora bisogna dargli una “spintarella”. E così, mentre il dibattito politico sul nuovo pacchetto continua a ruotare tutto intorno alle percentuali proposte dalla Commissione (“ambiziose” secondo l’Esecutivo, insufficienti secondo buona parte del mondo politico ed ambientalista, Senato italiano compreso), le imprese del riciclo, i cui proventi derivano esclusivamente dalla messa sul mercato delle materie prime seconde, chiedono all’Europa di essere messe almeno in parte al riparo dalle dinamiche del libero mercato. Altrimenti la scelta, per il mondo del recupero di materia da rifiuti, sarà sempre tra reggere la concorrenza (producendo in perdita) e recuperare i costi di produzione (aumentando i prezzi). Una vera roulette russa, tanto più che, negli ultimi anni, i riciclatori si sono spesso trovati a dover competere con prezzi davvero stracciati. Prova ne siano le difficoltà nelle quali versano i mercati della plastica riciclata e del metallo da rottami, con la prima schiacciata dalla concorrenza della resina vergine resa estremamente economica dal crollo del prezzo del petrolio, ed il secondo minacciato, soprattutto in Europa, dalla concorrenza dell’acciaio cinese a basso costo, che il Dragone ha riversato sulla piazza globale non essendo capace di piazzarlo sul mercato interno.
Da qui l’appello di Fead ed Euric a supportare il comparto del riciclo con misure che puntino a garantire condizioni di mercato sostenibili e a stimolare la domanda di materia riciclata. Prima fra tutte, si è già detto, la remunerazione dei benefici ambientali del riciclo, tale da rendere meno condizionante la necessità di reggere il passo dei valori di mercato delle materie vergini. Poi ancora l’introduzione di contenuti minimi di materia riciclata per determinati prodotti, l’implementazione a livello europeo dei requisiti minimi per gli acquisti verdi nella pubblica amministrazione, l’obbligo di incorporare nell’eco-label l’indicazione del contenuto di materia riciclata nei vari prodotti, e la messa a punto di forme di esenzione dall’imposta sul valore aggiunto per le materie prime seconde destinate ad essere riassorbite dal processo produttivo. «La domanda di materia prima seconda sul mercato europeo ha bisogno di essere stimolata – concludono Fead ed Euric – in modo tale da fare del comparto del riciclo un modello di business economicamente sostenibile, capace di produrre materiali riciclati di alta qualità e di aumentare la fiducia delle imprese acquirenti».