L’Ue si prepara a varare la nuova direttiva sulle acque reflue urbane, che punta a trasformare i depuratori in fabbriche verdi. Un appuntamento al quale l’Italia si presenta tra avanguardie, ritardi e territori che contano entrambe le dimensioni. Come la Campania
Da semplici, si fa per dire, impianti di depurazione a vere e proprie fabbriche verdi e circolari, capaci di recuperare risorse dai reflui e di farlo con trattamenti a bassa impronta carbonica. È una sfida ambiziosa quella che l’Ue si prepara a lanciare agli Stati membri con l’ormai prossima entrata in vigore della nuova direttiva sulle acque reflue urbane. “Ambizione è il termine più adatto – spiega Giovanni Perillo, presidente della sezione Campania dell’Associazione Idrotecnica Italiana – visto che la direttiva impone che i depuratori diventino fabbriche verdi capaci di operare in piena autonomia ecoenergetica“.
Oltre a promuovere un’azione più decisa in termini di decontaminazione delle acque reflue, infatti, la riforma estenderà lo scopo della disciplina anche su fronti come riciclo, riuso e decarbonizzazione. In linea con gli obiettivi climatici del Green Deal, ad esempio, entro il 2045 tutti gli impianti di trattamento dovranno soddisfare il proprio fabbisogno con energia da fonti rinnovabili. Già entro il 2035, invece, gli agglomerati urbani superiori a 1000 abitanti dovranno dotarsi di trattamento secondario (per la rimozione della materia organica), mentre il trattamento terziario (rimozione di fosforo e azoto) e quello quaternario (microinquinanti) saranno obbligatori rispettivamente dal 2039 e dal 2045 per tutti gli agglomerati superiori ai 150mila abitanti equivalenti. “Una direttiva impegnativa”, spiega Perillo.
Dopo l’ok del Parlamento Ue, il testo finale è in attesa del via libera formale del Consiglio, prima della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale che dovrebbe arrivare in autunno. Entro 13 mesi dall’entrata in vigore la direttiva dovrà essere recepita dagli Stati membri nei rispettivi ordinamenti nazionali, poi partirà l’adeguamento delle reti di collettamento e depurazione. Cosa che in Italia richiederà un impegno notevole, visto che in materia di acque reflue scontiamo ben quattro procedure d’infrazione – una delle quali costata fin qui più di 140 milioni di euro in sanzioni – con oltre 900 agglomerati urbani non allineati agli standard europei su raccolta e trattamento. “Soprattutto nel Mezzogiorno, in Campania, Sicilia e Calabria – chiarisce Perillo – la situazione è molto lontana dall’essere normalizzata”. E la Corte di Giustizia dell’Ue, nel frattempo, si prepara anche a infliggere nuove penalità.
Il tema è stato al centro di una giornata di studi organizzata da Servizi a Rete nella settecentesca cornice di Villa Campolieto, a Ercolano in provincia di Napoli. Un’occasione di confronto tra imprese, enti e istituzioni per condividere esperienze, competenze e strategie. “A differenti territori corrispondono azioni differenti – spiega il direttore di Servizi a Rete Liliana Pedercini – ma i risultati di successo devono essere confrontati e raccontati, anche per poterli poi calare in altri contesti”. Una location non casuale, quella scelta per l’evento. La Campania è tra le regioni che scontano i maggiori deficit in termini di gestione delle acque reflue – con 6 agglomerati non a norma già sottoposti a sanzioni e altri 221 censiti nell’ambito delle restanti tre procedure d’infrazione – ma anche tra quelle che negli ultimi anni “stanno lavorando tanto”, dice Pedercini, per colmare i gap con le esperienze italiane più virtuose e con gli standard europei.
“Il nostro impegno si sviluppa su due fronti”, spiega a Ricicla.tv Vittorio Cuciniello, amministratore delegato di GORI, gestore del servizio idrico integrato nell’ATO 3 Campania, uno dei maggiori d’Italia con un milione e mezzo di abitanti e 460 mila utenze. “Sul primo fronte – dice – abbiamo un programma importantissimo, ‘Energie per il Sarno’, che entro il 2025 punta a completare la rete di collettamento in tutto il territorio gestito da GORI e in particolare nel bacino del fiume Sarno”. Interventi che, garantisce l’ad “consentiranno di superare le infrazioni europee”, anche se per archiviare definitivamente la narrazione del ‘fiume più inquinato d’Europa’ resta da risolvere il tema, annoso, degli scarichi industriali abusivi, una ferita ancora aperta.
“L’altro fronte – prosegue Cuciniello – è la trasformazione degli impianti di depurazione”. GORI al momento ne gestisce 12, con un volume trattato di 150 milioni di metri cubi. “La prospettiva industriale è quella di renderli ‘fabbriche verdi’ in linea con le nuove direttive Ue – spiega – quindi con recupero di materia ed energia dai fanghi e trattamenti che consentano il riutilizzo delle acque. Abbiamo interventi già in corso a Scafati, Nocera, Angri e altri progetti, ad esempio nel nolano, sono candidati, ma – chiarisce Cuciniello – si tratta di investimenti ingenti sui quali occorre ragionare: o si interverrà sulla tariffa, come prevede la normativa vigente, o bisognerà trovare ulteriori risorse pubbliche”.
Per un’Italia chiamata a recuperare i ritardi, ce n’è un’altra che invece punta a giocare d’anticipo sui tempi dell’Ue. Anche se la deadline per il recepimento della nuova direttiva non si collocherà prima della fine del 2025, a Monza il gestore idrico BrianzAcque ha già avviato i lavori per adeguare il ciclo di trattamento del locale depuratore ai nuovi, ambiziosi parametri europei di efficienza e circolarità. “Siamo impegnati nella valorizzazione dei fanghi, che fino a qualche tempo fa consideravamo rifiuto e che invece sono risorsa”, spiega Gilberto Celletti, vice presidente di BrianzAcque.
Il progetto di ampliamento, che dovrebbe essere completato entro il 2030, è stato realizzato in collaborazione con il Politecnico di Milano e prevede l’impiego di biomasse aerobiche granulari per la rimozione degli inquinanti dai reflui. Cosa che consentirà, tra l’altro, di ridurre i consumi energetici e di ottenere fanghi idonei al recupero energetico per l’estrazione di fosforo, inserito dall’Ue nella lista delle materie prime critiche. Il tutto, spiega Celletti, “con una soluzione avanzata che pochi adottano, cioè quella ipogea, nascosta sotto il terreno, che da un lato ci consentirà di installare una struttura innovativa evitando le brutture del passato, e dall’altro di restituire alla popolazione le aree in superficie”.
Per quanto rara, tuttavia, la scelta di realizzare un impianto interrato per ridurre a zero l’impatto sul territorio non è esattamente inedita. E anzi ha proprio in Campania un esempio d’eccellenza. Tra le infrastrutture al servizio del ciclo regionale, spiega infatti l’ad di GORI Cuciniello, “l’impianto di Punta Gradelle, a Vico Equense, rappresenta oggi una vera e propria eccellenza tecnologica“. Costato 40 milioni di euro, inaugurato nel 2017 e dal 2023 affidato alla gestione di GORI, il depuratore serve circa 140 mila abitanti “e – dice l’ad – restituisce un refluo già nelle condizioni di essere riutilizzato”. Un baluardo fondamentale per la tutela della qualità delle acque in una zona a forte vocazione turistica come la penisola sorrentina, pronto ad adeguarsi ai nuovi parametri europei. Il tutto in una struttura completamente interrata, appunto. Sul fronte della depurazione, insomma, la Campania non conta solo ritardi e sanzioni milionarie, ma anche esperienze d’avanguardia.