Il ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin ha annunciato “una commissione per rivedere il codice dell’ambiente”, diventato negli anni un autentico testo ‘monstre’. Ben 176 le modifiche dall’entrata in vigore. Il caso emblematico dell’attestazione di avvenuto smaltimento: era obbligatoria, ma non si sapeva per chi. Plauso delle imprese del riciclo
Il Ministero dell’Ambiente istituirà una commissione per la “revisione completa del codice dell’ambiente”. Lo ha annunciato il ministro Gilberto Pichetto Fratin in persona nel corso di un convegno organizzato da Marevivo. L’obiettivo, ha spiegato, sarà quello di allineare il testo ai nuovi principi di tutela dell’ambiente e della biodiversità, inseriti lo scorso anno in Costituzione, ma anche quello di operare “una riforma normativa che si affiancherà all’azione di semplificazione e allo snellimento delle procedure autorizzative”. Riforma in vista insomma per il decreto legislativo 152 del 2006, meglio conosciuto come Testo Unico Ambientale (o TUA), che contiene tutte le principali norme in materia, da quelle per il rilascio delle autorizzazioni alle misure su tutela del suolo, delle acque e dell’aria, passando per le bonifiche e la gestione dei rifiuti. Un corpus in continuo mutamento per effetto di interventi correttivi, integrativi o di vere e proprie riscritture. Secondo il sito Normattiva, sono ben 176 le modifiche al provvedimento apportate dalla data di entrata in vigore, cinque delle quali hanno riguardato la struttura stessa del TUA. Senza contare l‘ultimo restyling, che risale solo a pochi giorni fa, arrivato con il via libera del Consiglio dei Ministri al correttivo del decreto legislativo 116 del 2020, che poco più di due anni fa ne aveva a sua volta riscritta una parte fondamentale, la quarta, quella sui rifiuti.
Interventi che se da una parte hanno provato a tenere il TUA al passo con una materia in continua evoluzione, anche sotto la spinta del diritto comunitario, dall’altro hanno però finito per farne una sorta di provvedimento ‘monstre’, come spesso accade ai testi che ambiscono a essere omnicomprensivi. Una “ipertrofia normativa”, come l’ha definita Ance, associazione nazionale dei costruttori, in una memoria depositata al Senato proprio in occasione delle audizioni sul correttivo del d.lgs 116, che “ha determinato una situazione di grave instabilità e incertezza tra gli operatori e in molti casi anche sfiducia verso le istituzioni”. Anche perché con il crescere del TUA si sono moltiplicati anche i passaggi di difficile se non impossibile lettura, che a loro volta hanno alimentato “molteplici e differenti interpretazioni da parte delle diverse autorità competenti e degli organi di controllo”. Fino a fare del TUA, per certi versi, un “freno al processo di transizione ecologica”, scriveva Ance.
Un caso per tutti: nel 2006 proprio il TUA introduce la compilazione di un “certificato di avvenuto smaltimento” come condizione necessaria perché, in determinati casi, il produttore di rifiuti assolva alla responsabilità della loro corretta gestione. Peccato che il Testo subordini l’entrata in vigore del certificato all’adozione di un decreto ministeriale che, come spesso accade in questi casi, non ha mai visto la luce. Il certificato cade nel dimenticatoio fino al 2020, quando a decreto ministeriale ancora mancante, la modifica al TUA operata dal d.lgs 116 ne dispone incredibilmente l’entrata in vigore. Senza tuttavia chiarire come dovesse essere compilato il certificato (il cui nome era nel frattempo cambiato in “attestazione”) né tanto meno su chi ricadesse l’obbligo di compilazione. Ambiguità diventate in brevissimo tempo materia per consulenti e avvocati, fino a quando, nel luglio del 2021, la legge di conversione del decreto ‘semplificazioni bis’ rinvia definitivamente l’operatività dell’attestazione all’entrata in vigore del futuro sistema informatico di tracciabilità dei rifiuti.
Non stupisce dunque che l’annunciata riforma del TUA sia stata accolta con grande favore dalle associazioni delle imprese, a partire da quelle del riciclo, che “chiedono da tempo una semplificazione degli iter autorizzativi, oltre che una maggiore sinergia tra Stato e imprese. al fine di accelerare il processo di trasformazione del nostro Paese” ha scritto in una nota Assorimap, associazione dei riciclatori di plastica. “Il testo, introdotto nel 2006, necessita infatti di una profonda attività di revisione e adeguamento alle esigenze emergenti, alle nuove tecnologie e alle innovazioni nelle quali l’Italia ha dimostrato di essere all’avanguardia” aggiunge Unirima, sigla dei riciclatori di carta, chiedendo di “rivedere il codice ambientale per semplificare gli iter autorizzativi, favorire maggiore concorrenza a beneficio dell’efficienza, e valorizzare il principio della circolarità a favore di una maggiore sostenibilità ambientale”. Nella speranza che sia una vera riforma, e non l’ennesimo restyling utile solo a creare ulteriore ambiguità e incertezza.