Il CIC punta i riflettori sulle principali criticità del settore: in violazione della normativa nazionale, la raccolta differenziata non è ancora attiva in tutti i comuni, mentre continua il calo della qualità merceologica della frazione umida nonostante i Criteri Ambientali Minimi previsti dal Ministero dell’Ambiente. Su sfalci e potature “presto un decreto per semplificare la gestione come rifiuto urbano”, ha anticipato la sottosegretaria Vannia Gava
Il settore italiano del biowaste è in allarme: la raccolta differenziata, obbligatoria dal 2022, è ancora lontana dal coprire l’intero territorio nazionale, mentre aumentano le frazioni estranee nei rifiuti conferiti agli impianti. Ad accendere i riflettori è il Consorzio Italiano Compostatori, che in un evento organizzato in media partnership con Ricicla.tv ha scattato la fotografia di un settore alle prese con una congiuntura preoccupante. A partire dai dati sulla quantità: nel 2022, anno in cui la differenziata è diventata obbligatoria, secondo il centro studi CIC sono state raccolte 7,25 milioni di tonnellate di rifiuti a matrice organica, trasformati in compost e biometano negli impianti autorizzati. Restano tuttavia ancora 675 i comuni in cui la differenziata, nonostante il mandato di legge, non risulta attivata (il 49% dei quali al Sud, il 38% al Nord e il 12% nel Centro) per un totale di quasi un milione di abitanti. A questi si aggiungono gli 853 comuni nei quali la raccolta è ancora lontana dalla soglia minima dei 50 kg per abitante.
Complessivamente, spiega il CIC, considerando che una raccolta a regime dovrebbe intercettare (tra umido e verde) almeno 150 kg di rifiuti per abitante, la potenzialità massima di raccolta a livello nazionale raggiungibile dall’Italia nel medio periodo sarebbe di 9 milioni di tonnellate l’anno. Ciò significa che mancano all’appello ancora 800mila tonnellate. “Non bisogna abbassare la soglia di attenzione, ma continuare a lavorare a tutti i livelli per poter implementare la raccolta differenziata laddove manchevole”, spiega la presidente del CIC Lella Miccolis.
Altro fronte critico quello della raccolta di sfalci e potature del verde urbano, penalizzata dalla disomogenea applicazione della normativa di riferimento sul territorio nazionale: dovrebbero essere gestiti come rifiuti, ma non sono poche le amministrazioni che in questi anni, accogliendo le richieste degli operatori della manutenzione e del florovivaismo, hanno deciso di classificarli automaticamente come sottoprodotti. Cosa che spiegherebbe perché, tra 2021 e 2022, il CIC abbia stimato in 140mila tonnellate il calo delle quantità conferite agli impianti di trattamento. Oltre 90mila delle quali legate alla minore intercettazione in Lombardia, una delle Regioni che hanno scelto di qualificare il verde come sottoprodotto ‘ex ante’.
Eppure già negli anni passati il Ministero aveva chiarito la natura di rifiuto degli sfalci del verde urbano, e la cosa è stata confermata di recente anche dalla Commissione europea “che ha semplicemente ribadito la normativa comunitaria”, ha sottolineato il direttore del dipartimento per lo sviluppo sostenibile del MASE Laura D’Aprile. Il Ministero, ha aggiunto D’Aprile, è al lavoro per risolvere anche le “apparenti discrasie del quadro normativo”. Come l’impossibilità per gli operatori professionali di conferire piccole quantità di rifiuto verde alle isole ecologiche. “Nelle prossime settimane sarà presentato un decreto legge per semplificare la gestione del verde come rifiuto urbano – ha anticipato il sottosegretario MASE Vannia Gava – consentendo agli operatori di accedere ai centri di raccolta per il loro conferimento”.
Il cambio di passo in termini di capacità di intercettazione, avverte tuttavia il CIC, non può avvenire a spese della qualità. Che negli ultimi anni è andata progressivamente peggiorando. Tra le cause, spiega il CIC, l’utilizzo elevato di sacchetti non compostabili nonostante il divieto, “che da solo vale due punti percentuali di materiali non compostabili”, spiega il direttore generale del CIC Massimo Centemero. Come per la raccolta, anche il peggioramento della qualità è legato insomma in parte al mancato rispetto della normativa nazionale. Tanto più alla luce del fatto che, sebbene i Criteri Ambientali Minimi del Ministero dell’Ambiente per i servizi di raccolta rifiuti prevedano di contenere i livelli massimi delle impurità fisiche entro il 5%, il centro studi CIC ha rilevato che la purezza merceologica media della frazione umida raccolta è passata dal 93,8% del 2022 all’attuale 92,9%. Ciò significa che la presenza di materiali impropri ha toccato quota 7,1%, collocando la raccolta nella classe di qualità B rispetto al sistema di valutazione elaborato dal CIC.
“Facendo male la raccolta differenziata – spiega Miccolis – i cittadini trasferiscono il problema sugli impianti“, determinando costi ulteriori a carico degli operatori per lo smaltimento degli scarti. “Con queste medie, l’umido che arriva agli impianti ha un costo potenziale di smaltimento delle frazioni estranee di 40 euro a tonnellata“, ha chiarito Centemero. L’aumento delle impurità, tuttavia, provoca anche la parallela riduzione delle quantità di compost in uscita, a causa del cosiddetto effetto ‘di trascinamento’: per estrarre i materiali non compostabili dai rifiuti conferiti, infatti, si trascinano via anche quote di materiali compostabili. Il calo della qualità rischia quindi anche di rallentare il percorso dell’Italia verso l’obiettivo europeo del 60% di riciclo al 2030 e del 65% al 2035 (nel 2022 secondo ISPRA eravamo al 52%). “Si deve parlare sempre di più di effettivo riciclo – spiega Miccolis – cioè di quanto, tra quello che entra nei nostri impianti, viene effettivamente trasformato in compost e quanto, invece, finisce tra gli scarti”. È anche dalla riduzione di questa forbice che dipende la stabilità di un settore chiave dell’economia circolare nazionale, capace, tra compost, biogas e biometano, di contribuire in maniera significativa al contrasto al cambiamento climatico, all’impoverimento dei suoli e alla resilienza delle forniture energetiche.