«Un sistema nazionale per rafforzare i controlli in Italia, garantirne l’efficacia, l’autorevolezza e renderli omogenei in tutto il Paese». Così il presidente della Commissione Ambiente di Montecitorio, Ermete Realacci, ha salutato il passaggio al Senato del decreto di Riforma delle Agenzie Ambientali, già approvato alla Camera nel 2014 e che da due anni attendeva di essere discusso a Palazzo Madama. L’approvazione di un emendamento della Commissione Bilancio per blindare la clausola di invarianza finanziaria del provvedimento pur non modificandone la sostanza costringerà la riforma ad un nuovo passaggio parlamentare. Verosimilmente l’ultimo.
#agenzieambientali impegno dI Comm. Ambiente @Montecitorio per iter rapido della riforma https://t.co/dnP43u88NE pic.twitter.com/E1pqfjIWo6
— Ermete Realacci (@erealacci) May 19, 2016
Ma di cosa si tratta? Il sistema nazionale delle agenzie di cui parla Realacci e che il testo definisce “a rete” era già stato messo nero su bianco (sebbene esistesse di fatto già da prima) dal decreto ministeriale 123 del 21 maggio 2010 con il quale si disciplinava la costituzione dell’Ispra (figlio degli accorpamenti delle preesistenti APAT, INFS e ICRAM, istituti dedicati rispettivamente alla tutela dell’ambiente, alla tutela della fauna ed alla ricerca applicata al mare). La nuova legge sembrerebbe configurarsi per lo più come un riordino della normativa che da una parte prende atto delle varie evoluzioni dei regolamenti e dall’altro cerca di svecchiare ed adeguare un testo che rimanda ad una legge che risale a più di vent’anni fa. Ne viene fuori una gestione delle agenzie stesse in una struttura relativamente più rigida con a capo l’Ispra e che dovrebbe vedere nelle agenzie regionali gli enti attuatori delle disposizioni deliberate dall’ente governativo.
Ente che però non pare assumere poteri e funzioni particolarmente più stringenti di adesso. Da una lettura del testo di legge e del relativo dossier redatto dalla Camera dei Deputati si evincono una serie di funzioni già in essere presso l’Istituto da una parte e le Arpa (o Appa nel caso delle province autonome) dall’altra: monitoraggio ambientale; controllo inquinamento; ricerca e divulgazione; formazione e comunicazione; collaborazione istituzionale; certificazione di processi e prodotti con disposizione di relative sanzioni.
L’elemento di novità potenzialmente più interessante è l’introduzione dei LEPTA (acronimo per livelli essenziali di prestazioni tecniche ambientali): di fatto degli standard minimi che vengono determinati su base nazionale dallo stesso Ispra e che le Agenzie locali dovrebbero far rispettare sui territori di loro competenza, contribuendo così all’omogeneizzazione dei servizi e dei parametri ambientali sul territorio nazionale. Più in generale, infatti, all’Ispra compete il potere di adottare norme tecniche vincolanti per l’intero sistema a rete in ottemperanza ai suoi compiti di pianificazione ed attuazione delle politiche di sostenibilità sotto il profilo tecnico-scientifico, quali ad esempio l’armonizzazione delle attività su base nazionale tramite una rete di laboratori accreditati. Tali vincoli da far rispettare sul proprio territorio, tuttavia, non discendono da una nuova autonomia per le stesse agenzie, tale da farne degli enti terzi. Se infatti il testo di legge del 1993 con cui venivano istituite prevedeva che Regioni e Province autonome provvedessero “a definire l’organizzazione nonché la dotazione tecnica e di personale e le risorse finanziarie delle Agenzie”, oggi viene superato l’aspetto tecnico, per cui le funzioni di indirizzo e coordinamento nell’ambito del riordino del sistema vengono definitivamente riconosciute all’Ispra, ma gli stessi Enti locali proseguono, si legge all’art.7 della riforma, a disciplinare: «con proprie leggi la struttura, il funzionamento, il finanziamento e la pianificazione delle attività delle agenzie».
«Si tratta di una riforma di cui avvertiamo una assoluta necessità – ha detto il ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti – non è possibile infatti che in Italia si abbiano tante qualità e modalità di tutela ambientale quante sono le Arpa regionali. Un coordinamento che instauri uniformità di valutazione e giudizio in tutto il Paese sulle delicate questioni ambientali appare quindi opportuno e urgente». Certo, nell’ambito di questa potestà in capo alle Regioni, le stesse dovranno tener conto delle disposizioni dell’Ispra e dell’obbligo di garantire i LEPTA sui singoli territori, ma resta difficile immaginare come possano essere omogenei gli standard a fronte di dotazioni finanziarie inevitabilmente differenti. Fino a quando esisterà questo rapporto di dipendenza dall’Ente locale, gli squilibri appaiono difficilmente superabili.
L’efficacia del coordinamento a questo punto sembra concretizzabile soltanto sotto il profilo sanzionatorio-repressivo. L’auspicio che si recepisce dalle dichiarazioni dei promotori del testo, infatti, è che questa riforma si ponga come passo successivo a quello della legge ecoreati e all’accorpamento della Forestale nell’Arma dei Carabinieri per semplificare le procedure e rendere più moderna ed uniforme la governance per la tutela ambientale sul territorio nazionale. Ma il nodo delle risorse economiche (che tra l’altro pare blindato proprio da quell’emendamento che ha reso necessario il nuovo passaggio parlamentare del testo e per questo particolarmente criticato dagli ambientalisti e dalle opposizioni) non sfugge neppure ai più entusiasti sostenitori della riforma, tra cui spicca il presidente della Commissione bicamerale d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, Alessandro Bratti: «Il potenziamento del sistema dei controlli è un primo passo – ha commentato – sarà necessario intervenire per dotare questo nuovo sistema delle risorse finanziarie, strumentali e professionali adeguate per farlo funzionare al meglio».
Anche sugli altri aspetti relativi a ricerca e coordinamento, la collaborazione tra le agenzie, la trasparenza delle pubblicazioni, i dubbi su una reale innovazione permangono. La condivisione in rete dei dati raccolti e prodotti attraverso il sistema SINA, sono (o dovrebbero essere) già esistenti, e al massimo da rafforzare: la messa in rete di questi dati (la cosiddetta SINANET) salutata quasi come una novità, è anch’essa già esistente.