Dal ritardo sul recupero energetico alle prospettive per i demolitori: il punto sul nuovo regolamento sui veicoli a fine vita con Anselmo Calò, presidente di ADA. “Italia resterà prima in Europa per riciclo”, dice
Anche nel 2021, dicono i dati ISPRA, l’Italia non è riuscita a centrare il target del 95% di recupero complessivo dei veicoli a fine vita, complice la totale assenza di soluzioni di recupero energetico per il ‘car fluff’, finito quasi esclusivamente in discarica. Con l’84,3%, però, il sistema risulta pienamente allineato all’obiettivo dell’85% di riciclo e reimpiego. Un risultato che il nuovo regolamento europeo, presentato qualche giorno fa e ora allo studio delle istituzioni dell’Ue, potrà consolidare, ha spiegato il presidente di ADA Anselmo Calò nel corso di un digital talk di Ricicla.tv.
Partiamo dal recupero energetico. Perché non riusciamo a sbloccare l’impasse?
“Il problema è impiantistico, come avevamo segnalato lo scorso anno all’allora ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani. Anche la relazione del Ministero sul Programma Nazionale di Gestione dei Rifiuti indicava del resto la carenza di impiantistica per la combustione del fluff. Si trattava però di una indicazione generica, mentre sarebbe necessario che il Ministero ‘influenzasse’ le decisioni delle Regioni per realizzare gli impianti, anche incentivandole o mettendo a disposizione risorse. Limitarsi a segnalare il problema senza dare indicazioni concrete è troppo poco”.
Il nuovo regolamento europeo sui veicoli a fine vita, presentato qualche giorno fa, potrà aiutare l’Italia a recuperare il ritardo?
“Il problema resta. Servono investimenti in nuovi impianti. Ciò detto, la proposta – che entrerà in vigore non prima del 2026 – stabilisce due cose interessanti. La prima è il divieto di collocare il fluff in discarica (se questo non sarà stato prima trattato in impianti di recupero avanzato, ndr). Quindi occorrerà necessariamente andare a recupero energetico, cosa che in Italia significherà rivolgersi all’estero. A quel punto raggiungeremo sì l’obiettivo, ma chissà con quali costi. L’altro aspetto interessante della proposta è la spinta sul ‘post shredding’, ovvero le attività di recupero a valle delle fasi di frantumazione nelle quali si produce il fluff. Questo porterà sicuramente all’aumento della quota di riciclo”.
Quali sono insomma le prospettive?
“Noi dichiariamo l’84,3% di reimpiego e riciclo. Credo che siamo e resteremo i primi in Europa, perché siamo gli unici ad aver contato correttamente le quantità di materia riciclata, mentre per i nostri colleghi europei la nuova proposta rappresenterà un colpo enorme. Anche le imprese estere dovranno fare gli stessi sforzi dell’Italia per raggiungere un livello così spinto di reimpiego e riciclo. Un altro aspetto interessante è che finalmente il regolamento applica il principio alla base della direttiva 53 del 2000: ‘Se i veicoli sono fatti bene, non c’è bisogno di pagare per il loro smaltimento'”.
Tradotto, significa che ogni veicolo dovrebbe essere progettato per essere riutilizzato o riciclato nella massima misura possibile una volta giunto a fine vita, per ridurre i costi di smaltimento delle frazioni residuali.
“Il principio della direttiva non ha mai trovato le leve per la corretta applicazione, mentre il nuovo regolamento le introduce in modo molto netto”.
Come?
“Aumentando la responsabilità del produttore in maniera chiara. Le case automobilistiche dovranno migliorare la produzione dei propri veicoli per garantire il riutilizzo e il riciclo. Una parte dei materiali riciclati dovrà addirittura essere reimpiegata nella produzione degli stessi veicoli. Nel nuovo regolamento la Commissione ha scelto di fatto di allineare la direttiva sul fine vita con quella sull’omologazione. Prima di ottenere quest’ultima il costruttore dovrà infatti provare che il veicolo immesso sul mercato sia effettivamente riciclabile, in riferimento a specifici parametri di misurazione”.