Il neominitro ha incontrato i vertici del Sistema nazionale di protezione ambientale per raccogliere osservazioni sul Pnrr. Ma la vera sfida è costruire una nuova cultura della sostenibilità basata su conoscenze scientifiche e dati oggettivi
Tergiversare non è nello stile di Roberto Cingolani, dice chiunque abbia avuto modo di percorrere con lui anche solo un pezzo della sua lunga e autorevole carriera accademica e professionale. Tant’è che il neoministro della Transizione ecologica è già al lavoro sui dossier più scottanti del nuovo dicastero. In cima alla lista, naturalmente, c’è il Programma nazionale di ripresa e resilienza, che secondo le indicazioni dell’Ue dovrà mettere al centro proprio i temi di sua competenza: energie rinnovabili, economia circolare, conversione ecologica del sistema produttivo. Ma anche digitalizzazione e innovazione tecnologica, temi altrettanto cari al professore di fisica ed ex numero uno del settore innovazione di Leonardo.
E non è un caso che ambiente e innovazione siano stati gli argomenti al centro dell’incontro tenutosi a inizio settimana tra Cingolani e i vertici del Sistema nazionale di protezione ambientale, che hanno condiviso osservazioni e proposte d’integrazione al Pnrr. Un piano da “approfondire e completare” ha detto il Presidente del Consiglio Mario Draghi, sia nella parte dei progetti che in quella delle riforme, per consegnare all’Europa entro fine aprile una proposta credibile. All’orizzonte ci sono gli obiettivi del Green Deal europeo – riduzione delle emissioni del 55% entro il 2030 e neutralità carbonica al 2050 – verso i quali l’Europa chiede di indirizzare il 37% dei circa 209 miliardi di euro a disposizione dell’Italia.
Ovvero 77 miliardi, qualcosina in più dei 68,9 appostati dal governo Conte sulla missione “rivoluzione verde e transizione ecologica” in una proposta di Programma che non ha convinto nessuno. Non le associazioni delle imprese ambientali, che chiedono incentivi al riciclo, semplificazioni burocratiche per l’apertura di nuovi impianti, un regime fiscale agevolato per i prodotti realizzati con materiali riciclati. Non le associazioni ambientaliste, che chiedono di puntare su chimica e idrogeno verde, su eolico e fotovoltaico ma anche sul rafforzamento dei controlli ambientali e su una pubblica amministrazione più efficiente e competente.
Ma accanto alla sfida della riscrittura del Pnrr ce n’è un’altra, per il ministro della Transizione ecologica, forse addirittura più delicata: riportare il dato scientifico, nella sua oggettività e imparzialità, al centro di un dibattito laico sulle strategie di sviluppo sostenibile. Compito tutt’altro che facile, in un’Italia che vede gli investimenti pubblici e privati in nuove tecnologie – dalle energie rinnovabili alla gestione dei rifiuti – rallentati o addirittura bloccati da Nord a Sud dai “no” di associazioni e comitati di protesta, con obiezioni spesso più emotive che tecniche o scientifiche, non di rado cavalcate con cinico opportunismo da amministratori locali più inclini ad assecondare le logiche del consenso che a perseguire l’interesse pubblico. Occorrerà ripartire anche da qui, da una nuova cultura della sostenibilità, per gettare le basi del successo del Programma nazionale di ripresa e resilienza.