Il settore dei rifiuti urbani in Italia fattura 13,5 miliardi di euro ma resta frammentato e lontano dall’assetto industriale necessario a raggiungere i target europei di circolarità. È la fotografia scattata da Utilitalia nel suo ‘Green Book’
Un servizio frammentato e lontano dagli obiettivi europei di circolarità. Nonostante la spinta del PNRR, prezioso ma non sufficiente a colmare le lacune del settore. Soprattutto a Sud. È la fotografia del comparto dei rifiuti urbani scattata come ogni anno da Utilitalia e Fondazione Utilitatis nel ‘Green Book’. Un settore che cresce, contando nel 2021 oltre 100mila occupati e un fatturato di 13,5 miliardi di euro, ma che resta lontano dall’assetto industriale necessario a fare il salto di qualità, come dimostra l’analisi condotta sulle gare per l’affidamento dei servizi di igiene urbana, bandite per l’87% in riferimento a un singolo comune e per l’85% con durata pari o inferiore a 5 anni.
La parcellizzazione del settore, spiega il dossier, contribuisce a tenere l’Italia lontana dai target al 2035 fissati dall’Ue, che chiede di raggiungere il 65% di riciclo e il 10% di smaltimento in discarica, mentre il paese è fermo rispettivamente al 48% e al 19%. A pesare sulle performance nazionali è soprattutto il ritardo delle gestioni nelle regioni centro meridionali, sia in termini di governance che di dotazione impiantistica, spiega il rapporto. Proprio a causa del maggiore costo sostenuto per il trasporto dei rifiuti verso impianti fuori regione il Sud registra la Tari più alta del Paese, con 368 euro/abitante nel 2022, staccando Centro (335 euro) e Nord (276 euro).
Disparità territoriali da colmare agendo soprattutto sulla leva degli investimenti in nuove infrastrutture di riciclo e recupero, per chiudere in sicurezza i cicli di gestione e spingere la trasformazione dei rifiuti in nuove risorse. I 2,1 miliardi di euro stanziati dal PNRR, diretti per il 60% proprio alle regioni del centro-sud, sono preziosi ma non basteranno, avverte Utilitalia, secondo cui per rispettare gli obiettivi Ue il fabbisogno impiantistico al 2035 è stimato in 4-5 miliardi di euro per il trattamento della frazione organica e per il recupero energetico delle frazioni non riciclabili, più 1,2 miliardi di euro per l’incremento della raccolta differenziata, 600 milioni di euro per mettere in servizio le strutture dedicate al fabbisogno residuale di discarica del 10% e altri 300 per la diffusione capillare della tariffa puntuale.
“Nel complesso quindi – spiega il presidente di Utilitalia, Filippo Brandolini – la stima del fabbisogno di settore al 2035 è pari a 6-7 miliardi di euro, ovvero tra i 0,5 e i 0,6 miliardi di euro l’anno. Il Green Book evidenzia l’importanza di una gestione industriale dell’intero ciclo dei rifiuti, la necessità di realizzare impianti soprattutto al Centro-Sud e l’urgenza di superare le frammentazioni gestionali. Si tratta di tre elementi fondamentali per la piena affermazione dell’economia circolare. A tal proposito le aziende associate a Utilitalia, grazie anche ai fondi del PNRR, sono adesso impegnate a realizzare impianti innovativi in filiere strategiche come la frazione organica, i RAEE e i tessili”. Sul fronte dei rifiuti organici sono ancora 1,3 i milioni di tonnellate che finiscono a trattamento in regioni diverse da quelle nelle quali vengono raccolti, spiega Utilitalia, anche perché negli ultimi anni le quantità raccolte sono aumentate in tutte le aree del paese. Nonostante la moltiplicazione dei progetti per i nuovi impianti anche sulla scorta del PNRR, le proiezioni al 2035 continuano a indicare come a fronte di un Nord e di una Sardegna sostanzialmente autosufficienti permanga un deficit di trattamento sia al Centro-Sud che in Sicilia.
Per raggiungere gli obiettivi di circolarità delle risorse, anche in ottica di messa in sicurezza delle catene di approvvigionamento, secondo Utilitalia serve però una vera e propria rivoluzione che trasformi le città in autentici ‘hub’ dell’economia circolare. Migliorando ad esempio la capacità di riciclo dei rifiuti elettrici ed elettronici con nuove infrastrutture e procedimenti autorizzativi più snelli. O potenziando le filiere del riciclo dei rifiuti tessili, soprattutto alla luce dell’obbligo di raccolta differenziata scattato lo scorso anno. A oggi, calcola Utilitalia, il 72% dei comuni italiani raccoglie separatamente i tessili per una quantità complessiva di circa 154mila tonnellate nel 2021. Servono investimenti in nuove tecnologie di selezione e riciclo, avverte l’associazione, secondo cui l’introduzione del modello di responsabilità estesa del produttore contribuirebbe a generare benefici ambientali, sociali ed economici su scala europea, con un risparmio di 4,0-4,3 milioni di tonnellate di emissioni di CO2, la creazione di oltre 15mila nuovi posti di lavoro e un giro d’affari compreso tra 1,5 e 2,2 miliardi di euro.