Lo studio di Ref Ricerche per Assoambiente: Italia al top in Europa per riciclo dei rifiuti delle attività economiche. Ma il nostro sistema produttivo ne genera ancora troppi: 42 kg per ogni 1000 euro di PIL, contro i 42 della Spagna, i 35 della Germania e i 33 della Francia. E spesso tra gli speciali si nascondono gli urbani che non sappiamo dove mettere
Italia sempre più brava a riciclare i rifiuti speciali, ovvero quelli generati dalle attività manifatturiere, industriali e commerciali: con l’80% siamo leader assoluti a livello europeo. Il problema però è che ne produciamo ancora tanti, più di 80 milioni di tonnellate l’anno, e che a gonfiare il conto ci pensano quelli urbani che non sappiamo dove mettere. Rifiuti che poi, quasi sempre, finiscono in discarica. Luci e ombre dell’Italia del riciclo, fotografate in uno studio realizzato dal Laboratorio Ref Ricerche per FISE Assoambiente, che sarà presentato questo pomeriggio a Milano nel corso del “Il Verde e il Blu Festival”, con una tavola rotonda moderata dal direttore di Ricicla.tv Monica D’Ambrosio.
Con il 79,3% di recupero di materia, l’Italia è il primo Paese in Europa per riciclo dei rifiuti speciali e con un tasso di circolarità del 19,5% sfiora il primo posto della Francia per quantità di materia riciclata reimmessa nel ciclo produttivo. Dati che confermano l’attitudine consolidata del nostro Paese a compensare con gli scarti la scarsità delle risorse naturali disponibili sul territorio nazionale. L’assenza di foreste fa dei maceri la principale fonte di approvvigionamento delle nostre filiere cartarie. La penuria di minerale di ferro e di carbone costringe la nostra siderurgia, seconda in Europa per volumi della produzione, ad alimentarsi di rottami.
Insomma, siamo maestri di economia circolare, ma non altrettanto bravi a rispettare la prima delle regole auree per una corretta gestione dei rifiuti: produrne il meno possibile. Tant’è che il disaccoppiamento, ovvero la separazione tra crescita economica e scarti prodotti, resta per noi un lontano miraggio. Nell’intervallo temporale 2010-2018 il PIL italiano è cresciuto del 10%, mentre i rifiuti speciali sono aumentati del 23%. L’esatto contrario di quanto registrato in altri Paesi europei come Germania e Francia, in cui nello stesso periodo lo sviluppo del PIL (rispettivamente +31% e +18%) è stato di gran lunga superiore all’aumento dei rifiuti da attività economiche (+14% e +5%). A conti fatti, per ogni 1000 euro di PIL generiamo 47 kg di scarti, contro i 42 della Spagna, i 35 della Germania e i 33 della Francia.
Il 50% dei rifiuti da attività economica, spiega Ref, proviene da operazioni di trattamento delle acque reflue e dei rifiuti. E questo non solo perché facciamo molto ricorso a impianti di trattamento per recuperare materia, ma anche perché trattare i rifiuti serve a farli circolare meglio. Soprattutto quelli urbani indifferenziati, che se sottoposti a trattamento meccanico biologico cambiano qualifica diventando speciali. Una trasformazione quasi esclusivamente cartolare, che però permette alle amministrazioni in difficoltà, perché prive di impianti di recupero o smaltimento sul proprio territorio, di aggirare i vincoli normativi che limitano la circolazione del pattume tra regioni. Come nel caso del Lazio o della Campania, che ogni anno inviano fuori dai propri confini centinaia di migliaia di tonnellate di scarti prodotti dal trattamento dell’indifferenziato. Ma a viaggiare in cerca di impianti sono anche gli scarti delle attività di recupero di materia. Complessivamente, secondo l’analisi di Ref, la metà dei rifiuti speciali da trattamento dei rifiuti urbani finisce inesorabilmente in discarica, mentre il recupero energetico ne assorbe una fetta decisamente marginale.
“La gestione efficiente dei rifiuti delle attività economiche – spiega Donato Berardi, Direttore del Laboratorio REF Ricerche – è un pezzo decisivo della competitività del nostro tessuto industriale. Occorrono una strategia, regole chiare e percorsi autorizzativi semplificati, oltre a impianti finali in grado di assicurare uno sbocco agli scarti del riciclo e recuperare energia”. In discarica finisce il 56% dei fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue: 11 milioni di tonnellate rispetto ai 3,5 della Germania, dai quali si potrebbero recuperare nutrienti e fertilizzanti per l’agricoltura, ma anche biometano. Ad evidenziare le criticità del sistema italiano poi c’è anche il dato sugli stoccaggi, ovvero i ‘parcheggi’ per rifiuti, che continuano ad aumentare (oggi raccolgono 18 milioni di tonnellate) mentre il numero di impianti resta complessivamente invariato intorno alle 11mila unità.
“Lo sviluppo tecnologico richiesto dal percorso di transizione energetica verso le fonti rinnovabili, la decarbonizzazione e l’economia circolare – sottolinea Marco Steardo, Vice Presidente FISE Assoambiente – implica un potenziamento delle attività di riciclo e di estrazione delle materie prime critiche dai rifiuti, per ovviare alla mancanza di materie prime vergini, evitando di dipendere dall’estero, affinché la gestione dei rifiuti nel nostro Paese possa contribuire a creare crescita, valore e occupazione”.