È stato avviato nei giorni scorsi, in Commissione Ambiente alla Camera, l’esame di alcune delle comunicazioni inviate dalla Commissione al Parlamento Europeo in materia di economia circolare. Il pacchetto a firma del presidente Juncker e del commissario Vella attende di svolgere il proprio iter a Bruxelles, ma nel frattempo è già allo studio dei nostri deputati e senatori. A Montecitorio è stata già affrontata una fase illustrativa e il presidente della Commissione, Ermete Realacci, ha sollecitato l’omologo organo di Palazzo Madama per cercare di audire congiuntamente il Commissario europeo in persona.
Nel frattempo, però, un primo resoconto c’è già, ed è firmato dall’EEA, l’European Environment Agency – ente dell’Unione Europea che ha il compito di divulgare informazioni sulle attività dell’UE in materia di politiche ambientali. Il report “Circular economy in Europe – Developing the knowledge base” di fatto fornisce gli strumenti fondamentali per affrontare il dibattito su un tema delicato, considerato che immediatamente dopo la presentazione del pacchetto Juncker sono stati messi in discussione l’ambizione dei target e la loro efficacia reale. Su alcuni fronti, si legge, c’è molto lavoro da fare in termini strettamente culturali, ma alcuni indicatori di un progresso in atto verso un modello circolare di economia già ci sono. Uno di questi è proprio la riduzione delle quantità di rifiuti generata in Europa, che contemporaneamente ricicla sempre di più. Ma non basta: la media delle statistiche dell’Unione è a malapena sufficiente e troppi Paesi hanno proiezioni al di sotto degli obiettivi minimi. Il report dell’Agenzia Europea per l’Ambiente puntualizza proprio i benefici e le sfide insite nell’adozione di un modello circolare di economia.
Il beneficio primario sarà quello di una maggiore autosufficienza relativamente alle materie prime: già oggi il consumo di una quota compresa tra il 6 e il 12% di materia – compresi i combustibili fossili – è attualmente evitata grazie all’impatto di riciclo e riuso, ma anche di prevenzione come nel caso dell’ecodesign. Una statistica che può crescere fino al 10-17% e che, nelle intenzioni della Commissione, con l’aiuto dell’innovazione tecnologica punta a ridurre l’ingresso di materiali nell’Unione Europea fino al 24% entro il 2030.
I benefici “a cascata” di questo dato ricadono sia sul fronte socio-ambientale (in quanto migliora la qualità della vita partendo dalle abitudini dei cittadini europei) che su quello economico (poiché ai risparmi sull’ingresso di materie prime corrisponde lo sviluppo della filiera industriale del riciclo). Ma il quadro è realisticamente a tinte contrastanti: i benefici potenziali di questo modello – si sottolinea nel report – non verranno senza affrontare delle sfide complesse. Lo sviluppo di alcuni settori economici corrisponderà inevitabilmente al declino di altri comparti “tradizionali”, e quindi alla perdita di posti di lavoro in quei settori. Senza contare che non tutto è completamente riciclabile, quindi il “cerchio” non si potrà mai chiudere del tutto: il successo di questo modello dipende da come sarà gestita la transizione, da quanto in fretta l’educazione si radicherà nei cittadini, ma soprattutto da quanto rapidamente sapremo sviluppare le competenze adeguate e necessarie a trarne benefici.