Riprogettare, riusare, riciclare: tre strategie chiave per guidare la transizione del sistema globale di produzione e consumo dei beni in plastica verso un modello basato sui principi dell’economia circolare. Sono quelle proposte dalla Ellen MacArthur Foundation nel rapporto “The New Plastics Economy: Catalising Action”, redatto in collaborazione con alcuni dei principali player di settore – dai colossi Unilever e Coca-Cola, a Danone, fino all’italiana Novamont – e presentato nei giorni scorsi al World Economic Forum di Davos. «I beni in plastica, gli imballaggi su tutti, sono parte integrante dell’economia globale e garantiscono benefici notevoli, ma la loro catena del valore, archetipicamente lineare e basata su produzione-consumo-smaltimento, genera significativi contraccolpi economici ed ambientali», spiega la Fondazione. Cosa che, nel futuro prossimo, farà del sistema plastica uno dei principali banchi di prova delle politiche internazionali di sviluppo sostenibile. Il ritardo da recuperare, del resto, è profondo. A quarant’anni dal lancio del primo simbolo universale del riciclo, si legge nel dossier, solo il 14% degli imballaggi in plastica utilizzati su scala globale è raccolto e avviato correttamente agli impianti di recupero materia, con una perdita economica stimabile tra gli 80 e i 120 miliardi di dollari e ripercussioni ambientali devastanti. Con il modello di business attuale, se il tasso di crescita della produzione di nuovi imballaggi mantenesse invariato il suo ritmo per gli anni a venire, entro il 2050 gli oceani potrebbero arrivare a contenere più rifiuti plastici che pesci.
Il primo passo, spiega la Fondazione, è la riprogettazione del packaging. Sul totale degli imballaggi immessi a consumo in un anno, si legge nel rapporto, il 30% circa è già progettato per finire in discarica o inceneritore, sebbene spesso sfugga ai sistemi di raccolta e si disperda nell’ambiente dopo un solo utilizzo. Si tratta soprattutto del packaging di piccolo formato come pellicole per merendine, sacchetti e vasetti, spesso poli-accoppiati, ovvero composti da più materiali per migliorarne le prestazioni. Materiali come il PVC, il polistirene e il polistirene espanso, poco comuni nel mercato degli imballaggi e dal ridotto valore post-consumo. Cosa che, unita alle dimensioni estremamente contenute del packaging, ne rende pressochè impossibile un corretto avvio al riciclo. Per questo tipo di imballaggi occorre spingere sull’utilizzo di materiali riciclabili e compostabili, suggerisce lo studio, esplorando al tempo stesso le potenzialità, nonché le limitazioni del riciclo chimico e delle altre tecnologie che possano riprocessare i tipi di imballaggi in plastica attualmente non riciclabili per farne nuove materie prime.
Seconda parola d’ordine è riuso, una strategia che secondo lo studio sarebbe estendibile ad almeno il 20% in peso degli imballaggi sul mercato per un valore economico di circa 9 miliardi di dollari. Sacchetti riutilizzabili potrebbero ad esempio sostituire oltre 300 miliardi di shopper monouso all’anno, con un risparmio di 0,9 miliardi di dollari sui costi di approvvigionamento delle materie prime. «Dalle shopper per la spesa ai contenitori per cosmetici, recenti sviluppi politici – scrive la Fondazione – hanno dimostrato che rendere socialmente accettabili queste pratiche non è una missione impossibile». Prova ne sia il fatto che anche le imprese stanno passando a modelli di business-to-business che prevedono l’impiego di imballaggi riutilizzabili, ricavandone notevoli benefici.
Ultima ma non ultima tra le strategie proposte dalla Fondazione, quella per un riciclo che sia sempre più attraente non solo dal punto di vista ambientale ma anche economico. «Al momento – si legge nel dossier – solo il 14% degli imballaggi in plastica è avviato a riciclo. Un numero che ben riflette la portata delle complessità economiche legate alla raccolta e processamento di una varietà di imballaggi, formati e materiali, attraverso un sistema frammentato e talvolta sotto-sviluppato di gestione post-consumo. Anche se l’economia del riciclo è forte per alcuni packaging, come le bottiglie per bevande in PET, in media, il costo della raccolta, della cernita e del riciclo supera di gran lunga i ricavi generati». Costo che, si legge, in Europa si aggira tra i 170 e i 250 euro la tonnellata. «L’implementazione di standard nel design e nei processi di gestione post-consumo secondo un Protocollo globale della plastica – si legge nel rapporto – servirebbe a rinforzare l’appeal economico del riciclo rispetto a discariche ed inceneritori, aumentando il valore di ogni tonnellata di plastica mista da raccolta differenziata di circa 190-290 dollari». Resta comunque necessario, si legge nel dossier, data la “fragile natura” del mercato del riciclo, mettere in campo misure a supporto della domanda di materiali riciclati ed altre azioni di sostegno economico al settore.