Snellire il rilascio delle autorizzazioni, a partire da quelle ‘end of waste’, ma anche rendere più efficiente il sistema dei controlli. Ecco le semplificazioni che servono alle imprese del riciclo
La partita della transizione ecologica si giocherà anche sul campo del procedimento amministrativo, che però continua a somigliare più a una palude burocratica pronta a ingoiare il potenziale d’innovazione e investimento delle imprese che alla auspicata corsia veloce verso gli obiettivi europei di decarbonizzazione. La parola d’ordine per il prossimo governo, come per quelli precedenti, resta ‘semplificare’. A patto però, dicono gli addetti ai lavori, di farlo davvero. “Speriamo di non vedere più le finte semplificazioni – dice Andrea Farì, avvocato e professore di diritto ambientale all’Università Roma 3 – come la semplice riduzione dei termini dei procedimenti autorizzatori che però non cambia nulla del procedimento stesso”. Una prassi “che non ha colore politico” sottolinea, rivelatasi negli anni inefficace rispetto, ad esempio, all’installazione di nuova potenza rinnovabile.
Ma c’è da rivedere anche il meccanismo per il rilascio delle autorizzazioni al riciclo, ancora inceppato negli strascichi della querelle “tra autonomia e centralismo”, dice Farì, scaturita dalla sentenza del Consiglio di Stato che per un anno aveva negato a Regioni e Province la possibilità di rilasciare nulla osta in assenza di decreti nazionali ‘end of waste’. La sentenza è stata poi ribaltata dal legislatore, ma i suoi effetti continuano a riverberarsi nella diffusa reticenza degli enti competenti ad autorizzare processi di riciclo che non siano stati disciplinati da regolamenti nazionali (o che non possano essere ricondotti all’ultraventennale decreto sul recupero in forma semplificata, datato 1998). “Eppure – osserva Farì – il confronto con gli altri Stati europei ci dice che il centralismo non garantisce risultati eccellenti”. Anche perché la procedura per mettere a punto i regolamenti nazionali, complessa e tecnica, richiede tempi molto lunghi e ovunque in Europa procede a ritmo tutt’altro che sostenuto. In Italia sono solo tre i decreti adottati nell’arco dell’ultima legislatura (prodotti assorbenti, pneumatici fuori uso e carta), più uno in attesa di pubblicazione (rifiuti da costruzione e demolizione). “I decreti sono fatti dalle persone – ricorda Farì – più l’amministrazione (in questo caso il Ministero della Transizione Ecologica, ndr) è forte, strutturata e dotata, più veloce è la loro adozione“.
I lunghi tempi per il rilascio dei regolamenti nazionali, poi, non premiano la spinta innovativa che viene dal mondo delle imprese. “I decreti nazionali fotografano una realtà statica – aggiunge Tiziana Cefis, consulente ambientale – e non consentono alle aziende di fare innovazione sui processi di recupero. Bisogna puntare molto sul ‘caso per caso’ facendo in modo che questo processo sia più snello e non venga interrotto, ad esempio, dai pareri preventivi delle agenzie ambientali in fase istruttoria. Che a volte impiegano mesi e mesi per essere rilasciati”. Un obbligo, quello che vincola le agenzie ambientali al rilascio di un parare preventivo, introdotto lo scorso anno dal governo Draghi proprio con il primo decreto ‘semplificazioni’. Il più tipico dei paradossi all’Italiana. Come paradossale resta la vicenda dei sottoprodotti, ovvero gli scarti di lavorazione che, a determinate condizioni, possono tornare nel ciclo produttivo senza entrare nel perimetro giuridico dei rifiuti. Sulla carta una semplificazione per le imprese e una spinta verso l’economia circolare. Nella realtà una strada quasi impossibile da percorrere. “Nel 2016 un decreto ha regolamentato il loro utilizzo – spiega Tiziana Cefis – ma si tratta di un testo farraginoso. Oggi molte imprese hanno difficoltà a considerare come sottoprodotti i propri scarti per la paura di non essere in grado di dimostrarlo all’ente di controllo”.
Il tema delle agenzie ambientali, e del loro ruolo non solo nei procedimenti autorizzatori ma anche nei controlli che lo Stato affida alle diramazioni regionali del Sistema Nazionale per la Protezione Ambientale (compresi quelli su sottoprodotti ed end of waste), è del resto un altro snodo chiave del processo di semplificazione che servirebbe a rilanciare il cammino sostenibile delle imprese. “Qualcosa da assestare nel sistema c’è – dice Farì – pensiamo solo al fatto che le agenzie ambientali sono organi regionali mentre l’Ispra è un soggetto nazionale. Il rapporto tra questi livelli diversi di governo è molto complesso e solo in parte è stato affrontato nel disegno del Sistema Nazionale di Protezione Ambientale. Un disegno che, tra l’altro, necessita ancora di essere completato e attuato”. A lamentarlo, per primi e da lungo tempo, sono proprio i tecnici del sistema delle agenzie. Per il prossimo governo “la chiave – spiega Farì – sarà quella di investire in modo deciso nella consistenza e nella preparazione dell’amministrazione ambientale”.