ROMA. Prosegue il processo di internalizzazione dei servizi di raccolta rifiuti avviato da AMA. La municipalizzata capitolina che si occupa di igiene urbana, infatti, dopo l’avvio del progetto degli ecodistretti e la discussa assimilazione e raccolta degli imballaggi commerciali assimilati agli urbani, ora punta ai rifiuti tessili. Il presidente di Ama, Daniele Fortini, infatti, ha già annunciato che nel 2016 sarà pubblicato un bando di gara ad evidenza pubblica per l’acquisto dei cassonetti necessari al conferimento degli indumenti usati e che – in piena linea con la filosofia degli ecodistretti – la stessa Ama si doterà delle strutture necessarie a valorizzare i materiali così recuperati. Un ulteriore passo in avanti verso l’autonomia della gestione rifiuti per Roma, dunque, che al netto delle difficoltà e dei tempi – che bisognerà monitorare – necessari alla funzionalizzazione di questo ulteriore capitolo del “ciclo chiuso” del riciclo capitolino, questa volta diventa anche una delle prime conseguenze “visibili” per i cittadini romani dopo lo scandalo di Mafia Capitale. Già, perché l’annuncio arriva alla vigilia della rimozione degli attuali cassonetti per i rifiuti tessili: per la precisione 1800 contenitori oggetto di un intero capitolo della “Relazione sugli esiti dell’accesso presso Roma Capitale” del Prefetto di Roma. «All’interno del documento – spiega Ama – si evidenziano condotte non corrette dei due consorzi nella gestione e nella partecipazione alla gara del 2008, nonché l’esistenza di gravi infiltrazioni mafiose che avrebbero interessato anche direttamente talune delle cooperative esecutrici del servizio. Gli attuali vertici di Ama Spa, anche in questo caso, assicureranno la massima collaborazione alla Procura della Repubblica che, attraverso la Direzione Distrettuale Antimafia, ha richiesto gli atti relativi sia all’appalto del 2008 sia a quello risalente al 2013, riguardanti i medesimi soggetti». Ai due consorzi aggiudicatari, attuali detentori dei contenitori sparsi sul territorio cittadino, è stato dunque revocato il servizio di raccolta degli indumenti. Indumenti che – è stato scoperto – non venivano assolutamente incanalati in un percorso benefico, bensì immessi sul mercato di paesi poveri del Nord Africa e dell’Est Europa. I magistrati hanno accertato che Carminati e Buzzi avrebbero fatto pressioni su Ama per avere coop di fiducia che potessero occuparsi della raccolta dei vestiti, che pare non venissero nemmeno igienizzati secondo le norme vigenti. Per l’ambiguità tra finalizzazione al recupero dei materiali e destinazione alla beneficenza, Ama è stata già colpita da una multa da 100mila euro notificata nel mese di settembre dall’Antitrust e per la quale già nell’occasione ha riservato eventuali azioni a propria tutela.