Il Corpo forestale dello stato chiama a raccolta inquirenti, forze dell’ordine, istituzioni nazionali e locali e professionisti della comunicazione per la nascita di un network info-investigativo a tutela dell’ambiente. Perno del progetto la Campania, che nella dolorosa veste di terra martoriata da sodalizi criminali ed imprenditoria deviata, potrebbe diventare il laboratorio ideale per la messa a punto di nuove strategie di contrasto alle ecomafie. Se n’è discusso al Centro Nazionale di formazione del Corpo forestale di Castel Volturno, in occasione di un seminario sulle attività investigative anti-ecomafia rivolto alle giubbe verdi del centro-sud. «Vogliamo mettere a frutto l’esperienza “terra dei fuochi” – dichiara Sergio Costa, Comandante regionale per la Campania del Corpo forestale – per affermare con forza che il fenomeno non è solo campano, ma che ha oramai una portata globale. Per questo dobbiamo unire le forze, utilizzando le conoscenze acquisite in questi anni per mettere a punto strumenti info-investigativi comuni a tutti gli attori coinvolti. L’obiettivo è impedire che si ripeta in altri luoghi ciò che è stato per questa terra».
Che il crimine ambientale, nelle sue varie forme, non sia solo una questione campana lo ha ricordato anche il procuratore aggiunto presso la Procura di Benevento Giovanni Conzo, forte della decennale esperienza acquisita presso la Direzione distrettuale antimafia di Napoli proprio sul campo della lotta alle ecomafie. «In Campania siamo stati i primi a portare a galla il fenomeno degli sversamenti illeciti di rifiuti tossici, ma questo non significa che in altre parti d’Italia non siano stati tombati abusivamente veleni di ogni tipo. Senza dimenticare che i cittadini campani hanno pagato e pagano con la salute il prezzo dei rifiuti smaltiti qui ma provenienti dalle aziende del centro o del nord Italia. Sui reati ambientali bisogna dare risposte concrete – prosegue Conzo – segnali forti sul fronte della deterrenza ma anche messaggi di speranza per i cittadini. Bene da questo punto di vista l’entrata in vigore della legge sugli ecoreati. Legge che – spiega Conzo – ha anche il merito di aver introdotto il reato di omessa bonifica, funzionale al risanamento ambientale ma anche al recupero di denaro a danno di chi ha inquinato senza provvedere al ripristino dei luoghi».
E se la legge sugli ecoreati ha il merito di aver dotato gli inquirenti di strumenti nuovi a contrasto di reati contro l’ambiente, dall’altra parte però non è servita a rimuovere del tutto gli ostacoli che penalizzano l’azione degli investigatori nella partita contro la criminalità ambientale. «Oltre ad essere estremamente intricato da un punto di vista normativo, questo settore presenta notevoli complessità anche sul fronte investigativo – spiega infatti Catello Maresca, sostituto procuratore presso la Direzione distrettuale antimafia di Napoli – pertanto l’azione degli inquirenti si sviluppa spesso in ritardo rispetto alla condotta illecita, ed arriva sul luogo del delitto a danno già compiuto. Occorre mettere a punto una sinergia tra informazione ed investigazione, in modo da colmare i ritardi nell’attivazione delle procedure d’indagine. Soprattutto sul fronte dei rifiuti, dove – aggiunge – oltre a controllare gli smaltimenti bisognerebbe anche poter monitorare le fonti produttive. Sarebbe auspicabile la nascita di un organo che abbia poteri e competenze simili a quelli dell’Autorità nazionale anti corruzione, che verifichi costantemente la corrispondenza dei dati dichiarati dalle aziende. Anche rispetto all’avanzamento delle operazioni di bonifica».
Un riferimento non peregrino, quello all’Anac di Raffaele Cantone, visto che più volte nel corso del seminario è stata sottolineata l’esistenza di un fil rouge che unisce corruzione e crimine ambientale. Due fenomeni che, a loro volta, vanno a braccetto con la burocrazia ed il proliferare incontrollato e inestricabile di norme, regolamenti ed enti di controllo. «L’illecito ai danni dell’ambiente è strettamente legato alla corruzione, in maniera piuttosto omogenea da nord a sud del Paese – ha spiegato il presidente della Commissione bicamerale ecomafie Alessandro Bratti – soprattutto nel ciclo dei rifiuti. In Veneto come in Liguria o in Sicilia ci sono sistemi illeciti che funzionano secondo le stesse logiche. Reti che coinvolgono politica, imprese private ed amministratori pubblici e che si sviluppano anche sulla base dello scenario complesso e complicato di fronte al quale ci troviamo quando guardiamo alla molteplicità di enti deputati al controllo e alla regolamentazione del ciclo rifiuti. Ma la questione riguarda anche le bonifiche, o il tema dei traffici transfrontalieri di rifiuti pericolosi, come i veicoli a fine vita o i rifiuti elettrici ed elettronici. Ecco perchè abbiamo bisogno di una normativa chiara e semplice. Tutelare l’ambiente – dice Bratti – non è solo un imperativo morale ma è anche l’occasione per promuovere l’imprenditoria sana, quella che soffre la concorrenza di quanti operano nella zona grigia, ricorrendo all’illecito ambientale per risparmiare. Dopo la legge ecoreati – aggiunge – un altro passo importante sarà quindi la legge sulle agenzie ambientali, che restituirà indipendenza e professionalità ai tecnici specializzati nella tutela ambientale, contribuendo a riequilibrare le differenze tra le varie regioni e a recuperare le situazioni di maggiore ritardo. Come in Puglia, Sicilia o Campania, con l’Arpac che negli anni passati ha subito una vero e propria violenza da parte della politica».