La pandemia fa crollare la produzione di rifiuti urbani ma non il riciclo, che nel 2020 si attesta al 54,4%, superando il target vincolante dell’Ue. Per vincere le sfide del futuro, avverte però Ispra nel suo ultimo rapporto annuale, serve migliorare la qualità della differenziata e investire nella realizzazione di nuovi impianti
Lockdown e restrizioni frenano la produzione di rifiuti urbani, ma non la raccolta differenziata né tantomeno il riciclo, che invece continua a crescere. Nonostante la pandemia, nel 2020 il sistema italiano fa un ulteriore passo in avanti verso gli sfidanti target europei di circolarità, ma resta ancora lunga la strada da percorrere per tagliare i conferimenti in discarica ed equilibrare la dotazione impiantistica tra le varie aree del Paese. Dopo mesi di stime e proiezioni ecco finalmente i dati ufficiali sulla produzione e gestione dei rifiuti urbani nell’annus horribilis dell’emergenza pandemica, messi nero su bianco da Ispra nell’ultimo rapporto annuale. Sono 28,9 i milioni di tonnellate prodotti lo scorso anno, in calo del 3,6%. Oltre un milione di tonnellate in meno rispetto al 2019 “a causa delle misure di restrizione adottate e delle chiusure di diverse tipologie di esercizi commerciali” spiega Ispra. Un calo tuttavia più contenuto rispetto a quello del PIL e della spesa delle famiglie, rispettivamente pari all’8,9% e all’11,7%, segno di una produzione di rifiuti che, in barba al covid, continua a rimanere elevata, lontana dall’obiettivo del disaccoppiamento con la crescita (o la decrescita, in questo caso) economica.
Se la produzione cala, aumenta invece la raccolta differenziata, cresciuta dell’1,8% rispetto al 2019 fino a toccare quota 63%, sebbene a fronte di una riduzione dello 0,8% nei quantitativi raccolti in valore assoluto. Segno che, spiega Ispra, “nonostante l’emergenza sanitaria da Covid-19 abbia influito significativamente sui consumi nazionali e di conseguenza sulla produzione dei rifiuti, il sistema di gestione delle raccolte differenziate ha garantito l’intercettazione dei flussi di rifiuti presso tutte le tipologie di utenze”. Aumenti generalizzati si registrano in tutte le macroaree del Paese anche se resta la forbice tra le performance del Nord, al 70,8%, del Centro al 59,2% e del Sud, al 53,6%. Tra i rifiuti differenziati, l’organico si conferma la frazione più raccolta, pari al 39,3% del totale, seguito da carta e cartone con il 19,2%, vetro con il 12,2% e plastica con l’8,6%, rappresentata per il 95% da plastica da imballaggio. A proposito di imballaggi, l’emergenza pandemica fa crollare nel 2020 l’immesso a consumo, -4,6% rispetto al 2019, ma non il recupero che aumenta di oltre tre punti toccando quota 83,7%. Del totale recuperato, più dell’87% è stato avviato a recupero di materia.
Proprio il recupero di materia risulta essere l’operazione di gestione prevalente, alla quale nel 2020 è stato indirizzato il 51% dei rifiuti, mentre il 18% è stato avviato a incenerimento e il 20%, un quinto del totale prodotto, è stato smaltito in discarica. Un dato ancora troppo elevato, se si pensa che gli obiettivi vincolanti fissati dalle direttive europee sull’economia circolare ci impongono un tetto massimo del 10% entro il 2035. Centrato e superato invece l’obiettivo di riciclo del 50% al 2020 con l’Italia che si attesta al 54.4%, così come risultano già superati i target al 2025 per tutte le frazioni di imballaggio, fatta eccezione per la plastica. Attenzione, avverte però Ispra, perché anche nel 2020 “si conferma un progressivo allargamento della forbice tra la percentuale di raccolta differenziata e tassi di riciclaggio”. Tradotto significa che raccogliamo sempre di più, ma non tutto quello che raccogliamo poi riusciamo a riciclarlo. E in futuro la cosa potrebbe diventare ancora più evidente, visto che a partire dal prossimo anno le performance di riciclo andranno calcolate con il metodo armonizzato introdotto dall’Ue per tutti i Paesi membri, più rigido rispetto a quello attuale e basato sulle quantità effettivamente avviate a recupero di materia sul totale dei rifiuti prodotti. Per intenderci, se applicassimo il nuovo metodo già da quest’anno la percentuale di riciclo dell’Italia scenderebbe di ben 6 punti, piombando al 48,4%. “Non è, dunque, sufficiente il solo aumento delle percentuali di raccolta – dice Ispra – ma è necessario che i quantitativi intercettati in modo differenziato si caratterizzino per una elevata qualità al fine di garantirne l’effettivo riciclo”.
Ma l’inadeguata qualità della differenziata non è l’unico ostacolo da rimuovere sulla strada verso gli sfidanti obiettivi di riciclo fissati al 2025 (55%), 2030 (60%) e 2035 (65%). “Lo sviluppo delle raccolte – avverte l’istituto – deve essere necessariamente accompagnato dalla disponibilità di un adeguato sistema impiantistico di gestione”. Un sistema che sia capace di trasformare in nuovo valore i rifiuti raccolti sul territorio nazionale e che invece continua a mancare, soprattutto nelle regioni del Centro-Sud: dei 673 impianti operativi nel 2020 più della metà, vale a dire 359, erano al Nord, 124 al Centro e 190 al Sud. “L’aumento della raccolta differenziata ha determinato negli anni una crescente richiesta di nuovi impianti di trattamento, soprattutto per la frazione organica, ma non tutte le regioni dispongono di strutture sufficienti a trattare i quantitativi prodotti” scrive Ispra, ricordando ad esempio come Lazio e Campania continuino a inviare in altre Regioni enormi quantità di rifiuti organici da raccolta differenziata, rispettivamente 415mila e 268mila tonnellate nel 2020, per l’insufficiente dotazione di impianti di compostaggio o digestione anaerobica. Ma Campania e Lazio sono anche le due Regioni che lo scorso anno hanno fatto segnare il maggiore ricorso all’export internazionale, valvola di sfogo necessaria soprattutto a gestire le frazioni derivanti dal trattamento dell’indifferenziato. Segno che il ciclo da chiudere non è solo quello della raccolta differenziata. Complessivamente, scrive Ispra, il 2% dei rifiuti urbani prodotti, pari a 581mila tonnellate, è stato inviato oltreconfine, rappresentato nel 31,5% dei casi da scarti generati dal trattamento meccanico, vale a dire ‘rifiuti da rifiuti’, finiti soprattutto in Spagna, Portogallo e Austria.
Viaggi, quelli dentro e fuori dai confini nazionali, che contribuiscono a far lievitare i costi complessivi di gestione dei rifiuti. Non a caso sono proprio le regioni del Centro e quelle del Sud a far registrare la più elevata spesa per abitante, rispettivamente pari a 221,75 e 195,67 euro, a fronte dei 165,58 euro del Nord e di una media nazionale di 185,6 euro procapite. Ma non è escluso che a far aumentare i costi di gestione abbiano contribuito anche le maggiori complessità logistiche determinate dalla pandemia, visto che a fronte di una riduzione di oltre un milione di tonnellate dei volumi da gestire su scala nazionale il costo medio procapite risulta cresciuto di ben 8,8 euro. Decisamente più contenuti i costi nei comuni che hanno adottato sistemi di tariffazione puntuale: l’analisi effettuata su un campione di 873 amministrazioni, infatti, ha rilevato un dato medio di 150,3 euro per abitante, oltre 35 euro in meno rispetto alla media dei comuni che hanno applicato la tradizionale Tari. Emblematico il caso di Trento, l’unico capoluogo di regione del campione preso in esame da Ispra ad adottare il sistema di tariffazione puntuale che nel 2020 ha fatto registrare un costo pro capite di 177,9 euro. Dopo Campobasso (160,5 euro per abitante) è il secondo più basso dell’intero Stivale.