Tra nuove messe al bando, vincoli al riciclo e il riuso come “arte del possibile”: le reazioni e i dubbi dopo il primo voto del Parlamento Ue sul regolamento imballaggi
Confezioni multiple di bevande avvolte in pellicola, ma anche involucri termoretraibili (o ‘shrink wrap’) per i bagagli in aeroporto e contenitori in cartone per i tubetti di dentifricio. Sono solo alcuni degli imballaggi che la commissione ambiente del Parlamento europeo chiede di aggiungere alla lista del packaging monouso da mettere al bando contenuta nello schema di regolamento imballaggi presentato dalla Commissione Ue. Stando alla posizione negoziale approvata ieri dagli eurodeputati (che dovrà essere votata a novembre dalla plenaria) il nuovo elenco di contenitori usa e getta dovrà scomparire dal mercato a partire dal 1 gennaio 2028. Se la proposta dovesse sopravvivere ai triloghi con Commissione e Consiglio (che al momento non ha ancora adottato una posizione formale) l’Europa dovrebbe dire addio, tra gli altri, alle buste e contenitori per frutta e verdura al di sotto di un kg, alle monoporzioni di salse e condimenti, ma anche a vassoi, piatti e bicchieri negli esercizi di ristorazione. In linea con gli obiettivi di riduzione della produzione di rifiuti da imballaggio proposti da Bruxelles: 5% entro il 2030, 10% entro il 2035, 15% entro il 2040 rispetto ai valori del 2018.
Sebbene la lista di proscrizione del packaging usa e getta tagli fuori anche diverse applicazioni monouso in carta e cartone o in materiali compositi, i rifiuti in plastica restano per l’Ue il nemico numero uno, tanto che gli eurodeputati hanno proposto di rafforzare gli obiettivi vincolanti proposti dalla Commissione introducendo anche target specifici di riduzione del 10% entro il 2030, 15% entro il 2035 e 20% entro il 2040. Misure che, com’era prevedibile, non piacciono all’industria dei materiali polimerici. “Una serie di divieti arbitrari o obiettivi di riduzione mirati esclusivamente agli imballaggi in plastica – ha scritto in una nota Plastics Europe – senza alcuna valutazione di impatto o dimostrazione di benefici ambientali. Tali divieti limitano formati altamente riciclabili e già ampiamente riciclati, come gli imballaggi in plastica per prodotti freschi o gli imballaggi raggruppati”. “Un passo indietro verso gli aspetti più ideologici e moralizzanti della proposta iniziale: ancora una volta si è persa la dimensione concreta della realtà” ha commentato invece Marco Bergaglio, presidente di Unionplast.
Non tutti i vincoli contenuti nel nuovo regolamento, tuttavia, vengono per nuocere all’industria della plastica. Perché alla messa al bando delle applicazioni monouso e ai target di riduzione dei rifiuti fanno da contraltare gli obiettivi di riutilizzo e ricarica degli imballaggi proposti dalla Commissione. Una rivoluzione nelle abitudini di produzione e consumo di imprese e cittadini europei che potrebbe avere, tra gli effetti principali, proprio il massiccio ritorno di quello che fino a qualche tempo fa sembrava il materiale nemico dell’ambiente per antonomasia. Nella posizione negoziale della commissione ENVI, che solo in parte ha rivisto i target di Bruxelles, già dal 1 gennaio 2030 il 20% delle bevande non alcoliche, il 50% dei grandi elettrodomestici, il 10% delle merci vendute online, per citare solo alcuni target, dovrà essere reso disponibile in imballaggi riutilizzabili. Sempre entro la stessa data dovrà essere riutilizzabile il 95% del packaging utilizzato per trasportare merci, come pallet, scatole, contenitori, canestri sia rigidi che flessibili. Molte delle applicazioni in questione oggi vengono realizzate in carta e cartone monouso, ma dal momento che il materiale non si presta a essere riutilizzato, la plastica diventa il candidato ideale per sostituirlo. Tant’è che anche Plastics Europe, pur rimanendo critica nei confronti dello schema di regolamento, scrive di vedere per l’industria “un potenziale significativo nell’avvio di modelli di riuso in diverse applicazioni da imballaggio”.
A fare i conti del ‘trade-off’ è EPPA, l’associazione europea dei produttori di packaging in carta e cartone. “Forzare l’adozione diffusa di imballaggi riutilizzabili nel settore dei servizi alimentari comporterà un aumento fino al 1500% del volume degli imballaggi in plastica rigida”, dice il direttore generale Matti Rantanen, secondo cui la cosa causerà “un aumento dello stress idrico, delle emissioni di CO2 e dell’inquinamento da plastica, con un costo fino a 20 miliardi di euro e una crescente complessità per i consumatori e gli imprenditori”. Ma EPPA ‘ha il dente avvelenato’, si potrebbe obiettare. E infatti i risultati del suo Life Cycle Assessment sono stati recentemente contestati da un’analisi di Eunomia per la piattaforma Reloop. Secondo l’autore Simon Hann infatti “ci troviamo di fronte a una moltitudine di studi che si concentrano principalmente sulle condizioni esistenti, su sistemi di riutilizzo spesso non ottimali o mal progettati, invece di immaginare – scrive – cosa si potrebbe ottenere puntando sull’innovazione per risolvere il problema”.
Per cogliere fino in fondo i benefici del riuso, dice insomma Eunomia, serve uno sforzo d’immaginazione. Del resto, in un altro LCA sulla ristorazione da asporto, nel quale si sostiene che la sostituzione delle tazze monouso in carta con prodotti multiuso potrebbe garantire un taglio della CO2 di almeno il 70%, è lo stesso studio di consulenza a chiarire che però “i risultati sono basati su una serie di assunti selezionati per simulare un sistema su vasta scala”, visto che nella realtà questo “al momento non esiste”. I dati attualmente in nostro possesso, insomma, non consentirebbero una efficace comparazione, in termini di benefici (e impatti) ambientali, tra i sistemi di riuso e quelli basati su raccolta differenziata e riciclo degli imballaggi monouso. Che invece vengono misurati e monitorati da decenni e che secondo Conai, negli ultimi 25 anni, hanno consentito all’Italia di risparmiare 56 milioni di tonnellate di anidride carbonica.
L’analisi LCA di Eunomia, si legge invece nello studio, “dimostra l’arte del possibile, ma ciò non può avvenire senza andare oltre l’idea di un semplice scambio tra un tipo di imballaggio e un altro”. Come invece si limita a fare Bruxelles nella propria proposta di regolamento, introducendo divieti e obiettivi che “prescindono da ogni condizione infrastrutturale e ambientale, come se la miglior efficacia ambientale del riuso fosse già garantita e assodata sempre e comunque, ma è evidente a tutti che non è così”, ha commentato Michele Bianchi, presidente della Federazione Carta e Grafica. Non sorprende dunque che gli eurodeputati abbiano chiesto di integrare la proposta di regolamento con l’adozione di atti delegati che stabiliscano almeno il numero minimo di rotazioni per gli imballaggi multiuso.
In un regolamento che punta a portare il baricentro delle politiche di gestione degli imballaggi sui gradini più alti della gerarchia europea, riduzione e riuso, non mancano però le misure per incentivare il riciclo. Che infatti, anche dopo il passaggio in commissione ambiente all’europarlamento incassano il plauso delle imprese di settore. “I maggiori requisiti affinché tutti gli imballaggi nell’Ue siano considerati riciclabili, gli obiettivi di raccolta differenziata al 90% e il contenuto riciclato obbligatorio sono chiari segnali che il ruolo dell’industria della gestione e del riciclo dei rifiuti viene a tutti gli effetti riconosciuto” scrive l’associazione Fead in una nota a commento del voto in commissione ENVi. Che ha confermato, tra gli altri, gli obiettivi al 2030 del 35% di materiale riciclato negli imballaggi in plastica e del 30% per quelli a prevalenza PET ‘sensibili’, ovvero a contatto con alimenti e prodotti farmaceutici. La posizione negoziale del parlamento, tuttavia, invita gli Stati membri a garantire che i materiali riciclati possano essere utilizzati “allo stesso modo e per una simile applicazione”. In particolare nel riciclo ‘closed loop’ delle bottiglie in PET. Un “accesso prioritario” che, scrive Fead, “se implementato, sarebbe dannoso per lo sviluppo delle capacità di riciclo in Europa, promuovendo il controllo monopolistico dei polimeri riciclati e andando contro i principi del libero mercato”.