Efficientamento nella gestione delle partecipate, tutela e promozione di concorrenza e mercato, razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica. Sono i principi che animano il decreto attuativo della riforma della pubblica amministrazione dello scorso agosto a firma del ministro Madia e che dovrebbe trovare spazio nel prossimo Consiglio dei Ministri previsto venerdì 15 gennaio. All’articolo 19 della legge Madia si parla specificamente di “riordino della disciplina in materia di servizi pubblici locali” per i quali prevede una “soppressione, previa ricognizione, dei regimi di esclusiva […] non indispensabili per assicurare la qualità e l’efficienza del servizio” che in alcuni casi può evolversi in completa eliminazione del controllo pubblico sulla gestione dei servizi stessi. La bozza del testo unico sui servizi pubblici locali (il cui iter avanza di pari passo con quello in materia di società a partecipazione pubblica) è saltata fuori nelle scorse settimane e tra i 32 articoli di cui consta, emerge anche un passaggio dedicato alla raccolta rifiuti sul territorio urbano. Entro la fine dell’anno le amministrazioni comunali dovranno dire addio alla privativa: è questa la misura più eclatante che emerge dalla lettura del testo in dirittura di approdo in cdm. La riforma scaturirebbe dall’inserimento di un nuovo comma 1-bis all’articolo 198 del Testo Unico Ambientale (la 152 del 2006) in virtù del quale il regime di privativa dei comuni ai fini della gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento cesserà alla data del 31 dicembre 2016. Mediante altri due inserimenti, quelli del comma 6-bis all’articolo 238 del testo unico e del comma 649 bis all’articolo 1 della legge di stabilità 2014 (con la quale si disciplinava la Tari), si specifica che a partire dal primo gennaio 2017 non è assolutamente imponibile alcuna tariffa per quei produttori di rifiuti in grado di dimostrare di aver avviato a smaltimento gli stessi in maniera autonoma, se non per una residua quota del contributo a copertura della garanzia di servizio.
All’articolo 16 bis ci sarebbe anche l’estensione delle competenze dell’Autorità per l’Energia e per il sistema idrico ai servizi di gestione dei rifiuti urbani e assimilati. La famigerata Authority sui rifiuti, dunque, si chiamerà ARERA (Autorità di regolazione per Energia, Reti e Ambiente” ed evidentemente la sua costituzione non porterà nuovi costi alle casse dello Stato. Una più specifica definizione delle nuove attribuzioni potrebbe essere rimandata ad un successivo provvedimento, ma in termini di controllo e regolamentazione in mano al nuovo ente sono state sono già nero su bianco: emanazione di direttive sulla gestione contabile e amministrativa dei gestori; definizione dei livelli di qualità dei servizi; comunicazione delle condizioni di erogazione dei servizi; emanazione di linee guida per la redazione di contratti di servizio; aggiornamento delle modalità di determinazione della tariffa; supervisione sulle tariffazioni in ingresso agli impianti di trattamento e smaltimento e sul merito dei contenuti dei piani d’ambito da parte degli ATO. All’autorità spetteranno inoltre compiti consultivi e facoltà di proporre interventi alla normativa nazionale oltre che di segnalare casi gravi di inadempienza.
Provvedimenti tutti di grande interesse per i quali bisognerà attendere l’esito del consiglio dei ministri di venerdì, anche se non sarebbe la prima volta che l’evidente esigenza di riforme su più fronti della normativa ambientale induce il legislatore a rimandare qualsiasi intervento ad un provvedimento più organico. Chissà se, per usare il vocabolario social del premier Renzi, anche questa volta “#lavoltabuona” sarà la prossima: a gennaio dello scorso anno – quando nelle vesti di segretario del PD annunciò un calendario mensile di riforme – il “green act” era previsto per il mese di marzo. Peccato che proprio da allora si sia smesso di parlarne.
Costituzione, legge elettorale, fisco, giustizia civile, PA, cultura-scuola-Rai, GreenAct, lavoro. Facciamo sul serio, sarà un #Buon2015
— Matteo Renzi (@matteorenzi) 2 Gennaio 2015