Il Consiglio Ue ha adottato la propria posizione negoziale sulla revisione della direttiva acque reflue, chiedendo obiettivi più flessibili per gli Stati membri. Piena intesa, invece, sull’istituzione di un sistema di responsabilità estesa per produttori di cosmetici e farmaci. Ora via ai negoziati
Sì all’introduzione di nuovi strumenti per migliorare la raccolta e il trattamento degli scarichi fognari, ma con obiettivi flessibili per tutti gli Stati membri. Il Consiglio Ue ha adottato la propria posizione negoziale sulla revisione della direttiva sulle acque reflue urbane, che ora entrerà ufficialmente nella fase dei triloghi con Commissione e Parlamento. “Abbiamo raggiunto un importante accordo per migliorare la già efficace raccolta e trattamento delle acque reflue urbane nell’Ue – ha dichiarato la ministra spagnole della Transizione Ecologica Teresa Ribera Rodríguez – che ci avvicina di un passo all’obiettivo di inquinamento zero che ci siamo prefissati per l’Europa”. Gli Stati membri sposano l’impianto complessivo proposto da Bruxelles a ottobre del 2022, ma al tempo stesso frenano sulla portata delle principali misure. A partire dall’estensione del perimetro della disciplina, che secondo il Consiglio dovrà coprire gli agglomerati da 1250 abitanti equivalenti in su, a differenza dei 1000 proposti dalla Commissione e dei 2mila attualmente previsti, mentre nella propria proposta il Parlamento aveva chiesto di fissare una base ancora più ambiziosa a 750 abitanti equivalenti.
Per venire incontro alle difficoltà dei singoli Stati, inoltre, l’obbligo di dotarsi di sistemi di raccolta, sostiene il Consiglio, deve essere posticipato dal 2030 al 2040, prevedendo deroghe per gli Stati che hanno fatto il loro ingresso nell’Unione dopo il 2004 o il 2006. Anche l’obbligo di dotarsi di un trattamento secondario (rimozione della materia organica) deve essere esteso a tutti gli agglomerati con più di 1250 abitanti, ma la deadline, chiedono gli Stati membri, va spostata dal 2030 al 2035. Quanto al trattamento terziario (rimozione di fosforo e azoto), questo dovrà essere adottato entro il 2045 negli impianti che servono agglomerati da 150mila abitanti in su, target meno stringente di quello proposto dalla Commissione, che invece fissa come deadline il 2035 e come base di applicazione gli impianti oltre i 100mila abitanti. Ridimensionato anche l’obiettivo per il trattamento quaternario (eliminazione di microinquinanti): gli Stati membri ne propongono l’obbligatorietà dal 2045 per gli impianti oltre i 200mila abitanti (con target intermedi al 2035 e 2040), mentre Bruxelles vorrebbe vincolare tutti gli impianti sopra i 100mila abitanti ad adottarlo entro il 2035.
Proprio in tema di trattamento quaternario, piena sintonia tra Commissione e Consiglio sulla necessità di introdurre un sistema di responsabilità estesa (EPR) per i produttori di cosmetici e prodotti farmaceutici che sostenga i costi aggiuntivi dell’installazione di sistemi di depurazione avanzata negli impianti. Secondo il Parlamento, che pure ha sposato la proposta dell’introduzione di un EPR, il sistema deve essere integrato con un cofinanziamento statale nella misura massima del 20%, ma la proposta è stata bocciata dall’associazione dei gestori idrici EurEau che la considera un ‘annacquamento’ del ben più stringente meccanismo proposto da Bruxelles. Se sull’EPR Commissione e Consiglio, com’era prevedibile, trovano massima convergenza, le rispettive visioni tornano invece a divergere al capitolo sugli obblighi di neutralità energetica per gli impianti. Secondo gli Stati membri entro il 2045 tutti gli impianti in centri abitati con più di 10mila abitanti dovranno essere capaci di produrre tanta energia rinnovabile quanta ne consumeranno, mentre Bruxelles propone un target anticipato al 2040. Così come il Parlamento, che chiede anche l’introduzione di obiettivi intermedi del 55% di rinnovabili entro la fine del 2033, 75% entro la fine del 2036 e 100% entro la fine del 2040. Toccherà ai negoziatori, ora, trovare l’intesa.