Nel 2020 la raccolta differenziata della frazione organica cala di circa 125mila tonnellate rispetto all’anno precedente, cioè poco meno del 2% delle 7,3 milioni di tonnellate raccolte nel 2019. Nei comuni di piccole e medie dimensioni l’intercettazione del rifiuto organico è aumentata tra 1 e 8 kg/abitante
A fronte di un aumento della differenziata dei rifiuti urbani che anche nell’anno più duro della pandemia ha raggiunto il 63% con una crescita dell’1,7% rispetto al 2019, per la raccolta della frazione organica, seppur in modo contenuto, è stata registrata nel 2020 una riduzione complessiva rispetto all’anno precedente di circa 125mila tonnellate, cioè poco meno del 2% delle 7,3 milioni di tonnellate raccolte nel 2019 – dato in controtendenza rispetto agli ultimi dieci anni che hanno visto crescere la media del rifiuto organico differenziato del 7% all’anno. A spiegarlo è il CIC, Consorzio Italiano Compostatori, che a partire dal Rapporto Rifiuti Urbani 2021 dell’ISPRA ha elaborato e analizzato i dati 2020 per raccontare l’andamento della raccolta del rifiuto organico in Italia.
Una delle cause principali del calo di intercettazione è riconducibile alla frazione verde (87mila tonnellate), mentre la frazione umida è diminuita di sole 38mila tonnellate. ”Da diversi anni la raccolta differenziata di sfalci e potature langue in Italia, complice una norma nazionale disallineata con le politiche ambientali comunitarie, corretta solo a settembre del 2020”, spiega Massimo Centemero, Direttore del CIC. A questo problema, poi, si aggiungono le conseguenze del periodo pandemico durante il quale, soprattutto nella stagione primaverile, i centri di raccolta comunale hanno impedito o limitato l’accesso agli utenti e l’attività di manutenzione del verde pubblico e privato ha causato ritardi. Per quanto riguarda la frazione umida, invece, l’intercettazione pro-capite risulta sostanzialmente invariata, collocandosi intorno a 88,3 kg/abitante. “Nessun miglioramento, ma nemmeno un peggioramento, di fatto” aggiunge Centemero.
Eppure le restrizioni imposte dalla pandemia, sebbene abbiano avuto un impatto importante sugli andamenti di produzione, raccolta e gestione dei rifiuti urbani, non sono l’unico fattore a cui ricondurre il calo nella produzione che nel 2020 ha fatto registrare 28milioni 945mila tonnellate, il numero più basso mai registrato in Italia da quando esiste una contabilità sui rifiuti. Il calo della produzione dei rifiuti, infatti, stando all’analisi del CIC, sembrerebbe dipendere anche da una diminuzione della popolazione residente di quasi 384mila unità, generando così un rapporto di 488,5 kg/abitante che non rappresenta un record in termini di produzione pro-capite ma è in linea con quanto registrato nel 2017 e, comunque, superiore al triennio 2013-2015.
“Si tratta di un dato tutt’altro che prevedibile: le dinamiche socio-economiche del 2020 avrebbero potuto giustificare risultati opposti”, sottolinea Massimo Centemero, Direttore del CIC. “Anche il rapporto tra produzione di rifiuti e spese delle famiglie rappresenta un record assoluto: questo potrebbe essere legato al fatto che le minori spese degli italiani si siano concentrate soprattutto sull’acquisto di beni usa e getta, dall’incremento del packaging e di alcuni manufatti legati al contenimento delle infezioni come guanti, mascherine e altri prodotti igienico-sanitari. D’altra parte, bisogna tenere conto del profondo mutamento delle dinamiche del turismo cui ha assistito il Paese, azzerato nei primi mesi dell’anno e concentrato nel periodo estivo, rappresentato comunque da flussi interni”.
Stando all’analisi proposta dal consorzio, la decrescita dei quantitativi di rifiuti organici raccolti in maniera differenziata non è uguale per tutto il Paese. Emerge, infatti, il quadro di un’Italia divisa in due: nei comuni di piccole e medie dimensioni – con popolazione inferiore a mille abitanti e in quelli tra i 5 e 10 mila abitanti – l’intercettazione del rifiuto organico tra il 2019 e il 2020 è aumentata tra 1 e 8 kg/abitante; in valore assoluto, inoltre, la raccolta è aumentata di oltre 62mila tonnellate nei comuni con meno di 100mila abitanti. A controbilanciare la crescita, vi è il calo di oltre 100mila tonnellate nei grandi comuni. “La spaccatura – commenta il direttore del CIC – non riflette comportamenti più virtuosi nei piccoli comuni rispetto a quelli attuati nei grandi, ma è piuttosto l’esito dell’arresto del pendolarismo verso le grandi città, dove per mesi non si sono consumati pasti nelle mense aziendali, nei bar e nei ristoranti, la drastica riduzione del turismo straniero e la concomitante crescita della popolazione effettivamente residente nei piccoli comuni satellite”.