La produzione di rifiuti urbani in Sicilia tra 2010 e 2014 è passata da 517 a 460 chili annui pro capite; la raccolta differenziata, nello stesso periodo, è cresciuta di pochi punti percentuali, da 9,4 a 12,5%. Su oltre 2 milioni e 300mila tonnellate prodotte, più di un milione viene smaltito in discarica. I dati vengono dall’ultimo rapporto Ispra e pongono un leniniano dilemma agli amministratori nazionali e locali: “Che fare?“.
Dopo anni durante i quali per quanto riguarda l’impiantistica le scelte delle amministrazioni si sono schiacciate con indolenza sull’opzione discarica (non sempre a norma, come testimoniano gli attenzionamenti di Bruxelles) e per quanto concerne, invece, l’organizzazione del ciclo non si è saputo porre un argine alla perniciosa frammentazione delle competenze, ora la Sicilia si trova stretta tra due “improvvise” ondate di decisionismo.
La prima, per la verità, tanto improvvisa non è stata (considerato che fa riferimento ad una legge varata dal Parlamento nel novembre 2014) ed è quella relativa all’impiantistica imposta su tutto il territorio nazionale dall’articolo 35 dello Sblocca Italia. All’inizio del mese, dopo vari passaggi a vuoto e “veti incrociati”, lo schema di decreto attuativo, calcolando il fabbisogno nazionale e regionale, che identifica la necessità di costruire due inceneritori sull’isola. Nella formulazione del decreto, tuttavia, sembrava si lasciasse uno spiraglio ad adeguare quelle decisioni ai singoli piani regionali, permettendo così alla giunta Crocetta di portare avanti la sua proposta di costruire sei impianti più piccoli anziché due mega-stabilimenti.
Uno spiraglio che diventa definitiva apertura dopo l’intervista che il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti ha rilasciato al Giornale di Sicilia. Ma il problema sono i numeri. «Lo schema di decreto, quando identifica la quota incenerimento, tiene già conto che si raggiunga una percentuale di differenziazione dei rifiuti pari al 65% e a una riduzione di rifiuti del 10% attraverso politiche di prevenzione – spiega Galletti – oggi però la raccolta differenziata in Sicilia arriva al 12% circa, con alcuni Comuni che sono addirittura fermi al 4 o al 3%. Bisogna subito cambiare passo […] per cambiare uno status quo che è dannoso per i cittadini siciliani e porterà il Paese a subire pesanti multe in ambito comunitario. Quanto ai tempi di realizzazione, se non si inizia mai non si finisce mai».
Insomma, se sia più conveniente ed efficace farne due o sei non importa: gli impianti servono. Decida la Regione, purché si facciano. Anche perché ci vorrà qualche anno. Nel frattempo, come suggerisce il ministro, bisognerebbe ridurre del 10% la produzione con politiche preventive e riorganizzare il ciclo per raggiungere il 65% di differenziata, altrimenti neppure i nuovi termovalorizzatori basterebbero. E allora ecco che alla leva governativa risponde quella dell’assemblea regionale, che nella legge finanziaria approvata nei giorni scorsi ha varato un nuovo sistema di premi e pene. Il principio della norma è quello di raccogliere dai comuni “canaglia” i fondi da stanziare in “ecoincentivi” da rigirare agli stessi territori.
Nella sostanza chi non raggiunge il 65% della differenziata sarà “multato” in maniera proporzionale ai rifiuti conferiti in discarica. Basandosi sulle dichiarazioni annue redatte dalle municipalità (la mancata trasmissione delle documentazioni si traduce in applicazione del tributo in misura massima) per i primi tre anni la stessa sanzione sarà decurtata del 30% a quei comuni che avranno incrementato di almeno il 10% le proprie performance di raccolta differenziata. Lo sconto passerebbe al 40% a fronte di un +15% sulla raccolta.
A migliori performance corrisponderanno anche maggiori risorse, mentre la metà del gettito dell’ecotassa finanzierà politiche di riduzione della produzione di rifiuti (l’altro fronte da colpire insieme a raccolta e riciclo, ovviamente). Il tutto a fronte di una preesistente “ecotassa”, che esiste dal ’97 e che è il tributo dovuto dai comuni per il conferimento in discarica.
Esattamente 20 anni dopo (la nuova ecotassa scatterà nel 2017) il problema, dunque, raddoppia: il dilemma sull’opportunità di questa norma non è tanto nei principi, ma nella sostanza. Il sistema di premi e pene ha sicuramente senso, ma potrebbe ritorcersi contro l’assemblea: infatti appare discutibile scaricare sulle già aride casse dei Comuni (e quindi sulla tenuta del servizio pubblico locale oltre che materialmente sulle tasche dei cittadini) il prezzo di quello che in Sicilia è un conclamato problema strutturale. Già, perché se in quattro anni la differenziata è aumentata a malapena del 3%, richiedere un incremento di oltre il 50% in dodici mesi significa semplicemente avere individuato un nuovo “bancomat”. E se le nuove esazioni non saranno precedute da una migliore organizzazione su scala regionale nonché da un visibile, sia pur graduale, miglioramento del servizio, c’è da mettere in conto anche l’eventualità di un’ulteriore disaffezione culturale e fiscale da parte della cittadinanza.
Se così fosse, si andrebbe verso ulteriori anni di stallo e ritardi: l’effetto boomerang è dietro l’angolo e la Sicilia non può permettersi altri errori.