Secondo la Commissione Ue l’Italia è “sulla strada giusta” verso gli obiettivi europei di economia circolare. Bene l’efficienza della produzione industriale e i tassi di riciclo, ma servono più investimenti e competenze, scrive Bruxelles nel country report annuale sulle riforme pubblicato ieri
Italia promossa con riserva sul campo delle politiche per l’economia circolare. Stando al country report annuale sulle riforme, pubblicato ieri dalla Commissione Ue, il nostro Paese sarebbe infatti “sulla strada giusta” per raggiungere gli obiettivi europei, “anche se – precisa Bruxelles – rimangono aree in cui è necessario migliorare”. Tra gli indicatori positivi spicca il tasso di utilizzo circolare dei materiali, passato dal 17,8% del 2016 al 18,4% del 2021, ben al di sopra della media europea dell’11,7%, si legge. E con 9,8 tonnellate per unità di prodotto anche l’impronta di materia (vale a dire il tasso di risorse fossili o minerali nelle nuove produzioni) resta al di sotto di quella media nei paesi Ue, che invece tocca le 13,7 tonnellate. “L’economia, in particolare l’industria – scrive la Commissione – è più efficiente nell’utilizzo dei materiali rispetto alla media Ue, con una produttività delle risorse di 3,4 PPS (ovvero a parità di potere d’acquisto) per kg nel 2021 contro i 2,3 per l’Unione”. Spinto dalla secolare necessità di far fronte alla carenza di risorse sul territorio, il sistema produttivo nazionale si conferma insomma capace più di altri in Europa di puntare su efficienza e recupero. La dipendenza dalle importazioni di materie prime resta tuttavia ancora elevata, quasi doppia rispetto al resto dell’Ue, cosa che “può minacciare la sostenibilità competitiva”, avverte la Commissione. Decisamente elevato anche l’impatto ambientale dei consumi, anche questo ancora sopra la media Ue.
Segnali positivi arrivano sul fronte della gestione dei rifiuti urbani, dove l’Italia dimostra “continui miglioramenti – si legge – nonostante le differenze regionali”. In “crescita costante” il tasso di riciclo, al 51,4% nel 2020, sopra della media Ue che nel 2021 era del 48,5%. Cala invece lo smaltimento in discarica, che nel 2020 ha toccato il 20%. Tutto questo nonostante le regioni del nord e quelle del centro-sud restino distanti per percentuali di raccolta differenziata e riciclo, ma anche in termini di diffusione della tariffazione puntuale. “L’Italia non è considerata a rischio di non raggiungere gli obiettivi Ue 2025 per il riciclo dei rifiuti urbani e di imballaggio (55% e 65%, ndr) ma sono necessari sforzi per rispettare gli obiettivi successivi”. Vale a dire il 65% di riciclo dei rifiuti urbani, ma soprattutto il taglio al 10% dello smaltimento in discarica entro il 2035. Cosa che richiederà un cambio di passo sugli investimenti. Secondo la Commissione, a fronte di una necessità di 6,6 miliardi di euro l’anno, tra 2014 e 2020 la spesa si è attestata a 3,4 miliardi. Non sufficiente a colmare un gap di trattamento che, per il solo riciclo, è stimato in 5,2 milioni di tonnellate al 2035.
Per accelerare la transizione circolare, avverte però l’Ue, non servono solo gli investimenti ma anche le competenze necessarie a metterli a terra. Soprattutto nella pubblica amministrazione, dove “la mancanza delle competenze ambientali – scrive la Commissione – in particolare a livello locale, sta rallentando gli investimenti verdi“. Ma la mancanza di professionalità pesa anche sul settore privato, a ogni livello di specializzazione e qualificazione. Non a caso, nella lista delle professioni strategiche per la transizione ecologica, i profili legati alla selezione e al riciclo sono – al pari degli ingegneri ambientali – tra quelli che nel 2022 hanno fatto registrare le maggiori carenze, “creando colli di bottiglia nella transizione a un’economia a zero emissioni” riporta la Commissione. Per questo motivo, nella lettera di raccomandazioni che accompagna il report, Bruxelles invita l’Italia a “intensificare gli sforzi politici volti a fornire e acquisire le competenze necessarie per la transizione verde”, ricordando come “potenziare le competenze verdi, anche rispetto alla gestione sostenibile del suolo, sarebbe fondamentale per combattere gli effetti del cambiamento climatico, in particolare inondazioni aggravate e siccità persistenti”.
Se al capitolo sull’economia circolare il report della Commissione conta più luci che ombre, complessivamente il giudizio sulle politiche per la transizione ecologica ed energetica non può dirsi positivo. Soprattutto in materia di lotta alle emissioni dove, ricorda la Commissione, l’attuale target nazionale di riduzione del 29% entro il 2030, previsto dal Piano Nazionale Energia e Clima, non è sufficiente a raggiungere l’obiettivo del 55% fissato dall’Ue. Male anche la qualità dell’aria, con i dati italiani sulle morti per inquinamento atmosferico “tra i peggiori nell’Unione”, si legge nel report. Ritardi si registrano anche sul fronte idrico, dove le azioni di contrasto alle sempre più frequenti ondate di siccità si scontrano “con una governance frammentata e con notevoli perdite”. Nonostante “entrate fiscali ambientali superiori alla media rispetto ad altri paesi dell’Ue”, anche il potenziale della tassazione ambientale resta sfruttato poco e male. Secondo la Commissione, le basse tariffe idriche scoraggiano gli investimenti e disincentivano la riduzione dei consumi, mentre l’annunciato aumento dell’ecotassa sullo smaltimento in discarica, incluso tra le misure della Strategia Nazionale sull’Economia Circolare, non ha ancora visto la luce. In più, scrive l’Ue, l’Italia “ha leggermente aumentato” i sussidi alle fonti fossili rispetto al 2016, a fronte di un catalogo di sussidi ambientalmente dannosi che nel 2020 cubava complessivamente 20,4 miliardi di euro.