Sebbene immediatamente applicabile in tutti gli Stati membri, una volta in vigore il regolamento europeo sugli imballaggi avrà bisogno di un gran numero di provvedimenti attuativi. Come quelli sulla riciclabilità del packaging. Una spada di Damocle sul capo delle imprese, hanno detto oggi le associazioni ascoltate dalla commissione ambiente al Senato
La partita europea sul futuro degli imballaggi (e dei loro rifiuti) non si chiuderà con l’adozione formale della proposta di regolamento presentata dalla Commissione europea, allo studio delle istituzioni Ue e duramente criticata dall’Italia. Se misure come i nuovi obiettivi vincolanti di riutilizzo saranno infatti immediatamente applicabili in tutti gli Stati membri, per dare corpo a buona parte della rivoluzione circolare voluta da Bruxelles occorrerà invece attendere l’adozione di appositi atti delegati, ovvero provvedimenti attuativi di natura tecnica che dovranno disciplinare gli aspetti di dettaglio. Come i parametri per la misura della riciclabilità del packaging, obbligatoria dal 2030. Il regolamento, hanno sottolineato le associazioni ascoltate oggi dalla commissione ambiente del Senato, ne prevede tanti. Troppi anzi, e l’impossibilità di indicare tempi certi di adozione – soprattutto alla luce del fatto che nel 2024 si voterà per rinnovare il Parlamento Ue – proietta un’ombra di incertezza sull’intero processo. E sui possibili contraccolpi per le performance di raccolta differenziata e riciclo. “Siamo fortemente preoccupati – ha detto il presidente di Conai Luca Ruini – anche perché non è previsto un percorso di confronto per garantire una applicabilità degli atti delegati che tenga conto delle differenze tra i vari Stati membri”.
Emblematico il caso dei nuovi requisiti di riciclabilità. A partire dal 2030 potranno essere immessi sul mercato dell’Ue solo imballaggi che si collochino nelle prime quattro di cinque classi di riciclabilità (ovvero in quelle con percentuali superiori al 70% per unità di peso), ma i produttori di packaging dovranno aspettare l’atto delegato per capire come misurarla. E, di conseguenza, come introdurre eventuali modifiche ai propri processi produttivi. Più l’atto tarderà ad arrivare, più imprese rischieranno di rimanere fuori dal mercato. “È un approccio che decide a priori chi sono i buoni e chi i cattivi – ha chiarito Italo Vailati, direttore generale di Giflex – a differenza della vecchia direttiva, che definiva i target lasciando all’industria il compito di trovare le soluzioni”. E che, nel segno della ‘sussidiarietà’, ha consentito all’Italia di costruire il proprio primato in termini di riciclo, oggi al 75% dell’immesso a consumo e in anticipo sull’obiettivo Ue al 2030. Senza contare che l’iter per l’adozione di un atto delegato prevede spazi di concertazione estremamente limitati e che quindi prima dell’adozione non ci sarà praticamente modo di verificarne l’effettiva rispondenza alle varie capacità di riciclo disponibili negli Stati europei. “Un potere enorme nelle mani della Commissione, con pochi margini per gli Stati membri e gli altri portatori d’interesse” ha osservato Barbara Gatto, responsabile green economy della CNA.
In cima alla lista dei settori appesi al filo degli atti delegati c’è sicuramente quello degli imballaggi in plastica compostabile, che non ha mai goduto del favore di Bruxelles e che con l’attuazione del regolamento sembra destinato ad andare incontro a un nuovo – forse definitivo – giro di vite. “Il regolamento restringe in maniera importante il campo di utilizzo delle bioplastiche compostabili” ha chiarito Luca Bianconi, presidente di Assobioplastiche. Entro due anni dall’entrata in vigore della proposta di regolamento dovranno infatti essere compostabili cialde per caffè, bustine da tè e sacchetti ultraleggeri, l’uso di buste leggere (le ‘shopper’) in materiale compostabile potrà essere imposto dagli Stati membri solo a determinate condizioni, mentre ogni altro imballaggio, come tazze o piatti, sarà eventualmente aggiunto all’elenco dei prodotti considerati compostabili (quindi riciclabili, ovvero commercializzabili anche dopo il 2030) solo con l’adozione di atti delegati. “L’Italia si è già dotata di un sistema di riciclo capace di raccogliere e recuperare con la frazione organica tutti i tipi di imballaggio compostabile – ha chiarito Marco Versari, presidente di Biorepack – chiediamo che non vengano imposte limitazioni a un comparto industriale che cresce, anche vigorosamente”. E che potrebbe vedersi invece costretto a cedere il passo alle imprese cinesi o statunitensi.
Alle critiche sulle misure in materia di plastiche compostabili si associano i dubbi sugli interventi per spingere il mercato delle plastiche tradizionali riciclate. Se da un lato le imprese di settore plaudono all’introduzione di obiettivi minimi di contenuto riciclato nelle nuove produzioni, “misura che garantisce circolarità e crea un mercato funzionante per le materie prime seconde”, ha sottolineato Elisabetta Perrotta, direttore generale di Assoambiente, dall’altro sottolineano come anche in questo caso permanga un certo margine di incertezza. “Alla Commissione è conferito il potere di adeguare le percentuali minime con un atto delegato – ha spiegato Perrotta – ‘ove giustificato dalla mancanza di disponibilità o da prezzi eccessivi di specifiche materie plastiche riciclate’. Due espressioni che non sono definite con precisione nel regolamento e che rischiano di inviare un messaggio contraddittorio agli stakeholder, che potrebbero considerare il mercato del riciclo come troppo incerto quando invece, anche a livello nazionale, il riciclo meccanico ha portato a risultati eccellenti”.
Il regolamento Ue, con la sua sfilza di atti delegati, pende insomma come un’autentica spada di Damocle non solo sul capo dei produttori di packaging, ma anche su quello delle imprese del riciclo. “Gli atti delegati incideranno in maniera importante sulle scelte di investimento nel settore del riciclo dei rifiuti – ha osservato Perrotta – per realizzare obiettivi ambiziosi è necessario conoscere le regole in modo chiaro e in tempi precisi. Auspichiamo che nella fase di definizione dei provvedimenti la Commissione coinvolga i portatori d’interesse, perché la stesura degli atti sia quanto più vicina alle esigenze di operatività delle imprese”. Auspici che rischiano però di rivelarsi vani, visto che l’elaborazione degli atti delegati non prevede spazi di concertazione in fase di redazione, ma solo la possibilità di sottoporre l’atto a consultazione pubblica per quattro settimane prima dell’adozione definitiva. “Per questo una delle nostre proposte di emendamento al regolamento è quella di sostituire gli atti delegati con atti esecutivi, che invece prevedono un maggiore coinvolgimento”, ha chiarito Barbara Gatto. La partita resta tutta nelle mani di Consiglio e Parlamento.