Tra inceneritori e digestori anaerobici, nel 2022 gli impianti di recupero energetico dei rifiuti in Italia hanno prodotto 7 milioni di MWh di energia. Ma lo squilibrio tra nord e sud, spiega un nuovo rapporto di Utilitalia, mette a rischio il raggiungimento degli obiettivi europei al 2035
Gli impianti di incenerimento italiani sono saturi, e senza costruirne di nuovi (oltre quello di Roma) rischiamo di non raggiungere l’obiettivo europeo di riduzione dello smaltimento in discarica. Ma serve anche realizzare impianti di digestione anaerobica per garantire il corretto trattamento delle crescenti quantità di rifiuto organico intercettate dalle raccolte differenziate comunali. Producendo in entrambi i casi energia rinnovabile e calore. La federazione delle utility italiane Utilitalia torna a lanciare l’allarme sul ritardo dell’Italia nella realizzazione di infrastrutture per il recupero energetico dei rifiuti, e lo fa stavolta dalle pagine del rapporto realizzato con ISPRA sulla base dei dati relativi al 2022. Un lavoro che censisce 188 impianti tra inceneritori e digestione anaerobica della frazione organica e dei fanghi di depurazione, ma gli Impianti restano tuttavia concentrati prevalentemente al nord, mentre nel mezzogiorno continuano a registrarsi ritardi e carenze.
I 37 inceneritori operativi a livello nazionale nel 2022, si legge nel rapporto, hanno trattato 5,3 milioni di tonnellate di rifiuti ma continuano a essere dislocati per due terzi al nord (25, contro i 5 del Centro e i 7 del Sud), sono sostanzialmente saturi e all’orizzonte c’è solo il nuovo impianto di Roma. Scenario simile sul fronte della digestione anaerobica della frazione organica dei rifiuti urbani. I 73 impianti operativi, che nel 2022 hanno trattato 4,5 milioni di tonnellate di rifiuti, sono dislocati soprattutto a nord (53, contro i 9 del centro e gli 11 del sud), ma a differenza degli inceneritori in questo caso le nuove strutture in cantiere sono 22. Più equilibrata la distribuzione degli impianti di digestione anaerobica dei fanghi di depurazione, con 79 strutture operative delle quali 39 al nord, 3 al centro e 37 al sud. Tra energia elettrica e termica, gli impianti censiti, spiega il rapporto, hanno generato lo scorso anno complessivamente circa 7 milioni di MWh, equivalenti al fabbisogno di circa 2,6 milioni di famiglie.
“Questo rapporto – spiega Filippo Brandolini, presidente di Utilitalia – evidenzia come la gestione dei rifiuti sia da un lato un tema di economia circolare e, dall’altro lato, un elemento importante della transizione energetica“. Un tassello piccolo, ma non per questo trascurabile, da collocare nel quadro della diversificazione degli approvvigionamenti energetici nazionali. Ma anche della loro decarbonizzazione, visto che il 100% dell’energia prodotta dagli impianti di digestione anaerobica ed il 51% di quella prodotta dagli inceneritori è considerata rinnovabile. Motivo in più per lavorare al recupero degli squilibri territoriali. “Quello relativo agli impianti – spiega del resto Brandolini – non è solo un problema quantitativo ma soprattutto di distribuzione geografica: senza impianti non si chiude il ciclo dei rifiuti e non si potranno raggiungere i target Ue”. All’orizzonte ci sono gli obiettivi al 2035, il 65% di riciclo dei rifiuti urbani ma soprattutto il taglio dello smaltimento in discarica. Entro quella data dovremo arrivare a un massimo del 10%, mentre i dati sul 2022 indicano che l’Italia “è però ancora al 18% – spiega Stefano Laporta, presidente ISPRA – quindi dovranno essere fatti ulteriori sforzi per garantire l’adeguata chiusura del ciclo di gestione”. Aumentando l’intercettazione di rifiuti organici, ma anche spostando dalla discarica al recupero energetico il trattamento delle frazioni non riciclabili, come previsto dal Programma Nazionale di Gestione dei Rifiuti, che vincola le Regioni a garantire autosufficienza e prossimità della gestione.
In Italia, tuttavia, gli inceneritori continuano a scontare l’avversione dell’opinione pubblica più che nel resto d’Europa o del mondo, sebbene gli impianti attivi a livello nazionale, spiega Utilitalia, garantiscano oggi il riciclo di oltre l’80% delle ceneri generate e un rigoroso controllo delle emissioni in atmosfera, con limiti per diversi impianti “notevolmente più stringenti rispetto a quelli determinati dalla normativa vigente, soprattutto per quanto riguarda le polveri, gli ossidi di zolfo ed il monossido di carbonio”. Senza tralasciare la necessità di trovare una collocazione alternativa alla discarica per gli scarti della differenziata, destinati – al pari dei rifiuti organici – ad aumentare di pari passo con l’aumento delle raccolte. Oggi, dice ISPRA, la differenziata è al 65,2% mentre il tasso di riciclo è appena al 49,2%. Per centrare l’obiettivo del 65% al 2035, come chiede l’Ue, le proiezioni dicono che dovremo portare la raccolta ad almeno l’80%. Un percorso che dovremmo accelerare, e che invece rischia di rallentare in assenza di un sistema di impianti capace di assorbire in maniera capillare le crescenti quantità di rifiuti da gestire. Differenziati e non.