Un’indagine di Erion e Altroconsumo ha seguito i rifiuti elettrici dopo il primo conferimento da parte dei cittadini: il 23,5% del campione è sfuggito al sistema ufficiale, arrivando addirittura all’estero. Come un notebook partito da un’isola ecologica e finito via mare in un’acciaieria egiziana
Un notebook del quale il proprietario ha deciso di disfarsi viene consegnato alla locale isola ecologica. Da lì dovrebbe finire in un impianto di trattamento accreditato, capace di smantellarlo in sicurezza per recuperarne materiali preziosi. E invece appena otto minuti dopo lascia il centro comunale di raccolta e comincia un viaggio che lo poterà, nel giro di un mese, prima in una rivendita di rottami e poi al porto di Napoli dove, stipato in un container, verrà caricato su una nave e spedito a un’acciaieria egiziana per essere con ogni probabilità fuso. È solo uno dei raee sfuggiti alla rete di raccolta e trattamento ufficiale tra quelli monitorati da Erion e Altroconsumo nella nuova indagine sui canali del traffico parallelo di apparecchiature elettriche ed elettroniche a fine vita. Fenomeno dalle dimensioni preoccupanti, che drena risorse al sistema ufficiale e che, in prospettiva, rischia di compromettere anche la corsa al riciclo delle materie prime critiche: elementi strategici per l’industria nazionale che abbondano nei raee e che l’Europa ci chiede di recuperare di più e meglio.
L’inchiesta ha preso in esame un elenco variegato di apparecchiature – inclusi lavatrici, congelatori, notebook e smartphone – monitorandone 370 grazie all’inserimento al loro interno di un dispositivo GPS. Sul totale dei raee tracciati, 264 sono stati ‘pedinati’ fino al loro destino finale e, di questi, solo 175 (il 66,3%) sono giunti in uno degli impianti accreditati al Centro di Coordinamento Raee (CdC Raee), rimanendovi per un periodo di tempo sufficiente a poter essere trattati correttamente. Poco più di 6 raee su 10, insomma, hanno seguito un percorso che ne garantisce il corretto riciclo. “Accanto al sistema raee italiano che funziona e porta benefici al Paese c’è una zona grigia fatta anche di traffici illeciti. Se vogliamo che le cose cambino non possiamo più fare finta che questo fenomeno non esita” spiega Giorgio Arienti, direttore generale di Erion WEEE.
I raee che sfuggono alle maglie del sistema ufficiale restano una delle cause principali del ritardo italiano nei confronti degli ambiziosi obiettivi di raccolta fissati dall’Ue: dovremmo intercettare il 65% in peso delle apparecchiature immesse sul mercato, ma ci fermiamo al 34%. Dove finiscono i raee che mancano all’appello e che Erion stima in circa 400mila tonnellate? Molti restano nei cassetti o finiscono nel sacco nero dell’indifferenziato. Ma tanti altri, pur conferiti correttamente, diventano oggetto di triangolazioni poco trasparenti, sfuggendo al sistema ufficiale. Stando all’indagine, 62 raee monitorati (pari al 23,5% del campione), hanno intrapreso un percorso non virtuoso, finendo in acciaierie, piazzole dei rottamai, zone residenziali (probabilmente mercatini dell’usato o abitazioni private) o in vere e proprie discariche abusive. “Un fenomeno sistematico di sottrazione dei raee – spiega Arienti – a opera di soggetti che si preoccupano soltanto di ricavare dai raee le materie più semplici, come ferro, alluminio e rame, buttando via tutto il resto. Questo è reso possibile dal fatto che nel nostro paese i controlli sono molto scarsi“.
Scivolando attraverso le maglie troppo larghe del sistema nazionale, i raee inseguiti da Erion e Altroconsumo sono finiti addirittura all’estero. “Raee che partono dai porti italiani per finire in Africa o nel far east“, spiega Arienti. Come il notebook fuso nell’acciaieria egiziana, o i raee che l’indagine ha tracciato fino in Marocco e Senegal. “È necessario potenziare i controlli altrimenti l’Italia non raggiungerà mai gli obiettivi Ue – dice il direttore di Erion WEEE – semplicemente perché metà dei raee prende strade sotterranee e spesso illegali“. E anche sul destino dei raee formalmente intercettati dal sistema ufficiale, quindi rendicontati all’Ue, si allunga purtroppo l’ombra del sospetto. In 12 casi (4,5% del campione) la permanenza in impianti accreditati è stata infatti troppo breve per consentire una lavorazione plausibile, in linea con gli standard qualitativi dal Centro di Coordinamento raee, mentre altri 15 rifiuti (5,7%), sono stati trasportati in impianti registrati, ma non accreditati e quindi non obbligati a rispettare gli standard.
“Servono regole stringenti, certezza delle sanzioni e più vigilanza – dichiara Federico Cavallo, Responsabile relazioni esterne di Altroconsumo – abbiamo denunciato al Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica questi comportamenti illegali e auspichiamo l’intervento degli organi competenti, tra cui i nuclei operativi ambientali. Accanto a ciò, rimane fondamentale continuare a lavorare per garantire piena e completa informazione al consumatore: sia su come ‘dismettere’ correttamente un’apparecchiatura non più utilizzabile, sia per promuovere il riuso o la riparazione di oggetti ancora valorizzabili” conclude. “Il nostro – dice Arienti – è un appello alle istituzioni affinché vengano attuati interventi efficaci di tutela di un interesse collettivo, ambientale ed economico”. In ballo c’è anche la partita delicatissima per il recupero delle materie prime critiche, con l’Ue che chiede agli Stati membri di aumentare la propria capacità di riciclo dei raee per recuperare elementi strategici come litio, cobalto, nichel e ‘terre rare’. Se la raccolta non raggiunge i livelli fissati dall’Europa, avvertono però gli operatori, sarà impossibile realizzare le economie di scala necessarie a rendere remunerativi gli impianti e recuperare gli investimenti in tecnologie di trattamento avanzate.