In Commissione ‘ecomafie’ il ‘j’accuse’ di Manlio Cerroni dopo l’incendio del tmb di Malagrotta. “Scelte tecniche e gestionali di competenza esclusiva dell’amministratore giudiziario”, scrive in una nota l’ex patron della maxi discarica di Roma
“Ho attivato azioni sia in sede legale che civile, per fare chiarezza sulla vicenda drammatica che ha colpito non solo Malagrotta ma tutta Roma, nella speranza che stavolta si riesca ad andare fino in fondo, senza pregiudizi“. Convocato nell’ambito dell’indagine sul rogo che lo scorso 24 dicembre ha distrutto l’impianto di trattamento meccanico biologico nell’area dell’ex mega discarica capitolina, Manlio Cerroni, che per oltre 33 anni di quell’impero del pattume è stato proprietario e gestore, ci ha tenuto a consegnare ai membri della Commissione ‘ecomafie’ la sua personale versione dei fatti. Anche se, causa afonia, l’ex patron di Malagrotta è stato costretto a vibrare il suo ‘j’accuse’ dalle pagine di una memoria scritta, fatta leggere a voce da uno dei suoi legali. “La vita e la gestione della ‘città delle industrie ambientali (il complesso di impianti che conta i due tmb, ndr) – ha scritto Cerroni – sono segnate da due fasi ben distinte”. Ovvero prima e dopo l’esecuzione del sequestro che nel luglio del 2018, ha chiarito, ha affidato la gestione del sito all’amministratore giudiziario nominato dal Tribunale di Roma, il napoletano Luigi Palumbo. “A lui e soltanto a lui competono tutte le scelte tecniche e gestionali del complesso industriale di Malagrotta” visto che da quella data “io e i tecnici che l’avevano gestito più che egregiamente siamo stati estromessi”. E anzi “dal 27 settembre 2018 mi è stato personalmente impedito l’accesso nell’area”, ha sottolineato Cerroni.
È nell’attuale amministrazione giudiziaria che vanno ricercate le “tante responsabilità” di quanto accaduto a Malagrotta, scrive nella sua memoria Cerroni, chiarendo di avere presentato già a novembre scorso un esposto al Tribunale di Roma per denunciare supposti episodi di cattiva gestione del polo impiantistico. Con l’orgoglio mai scalfito dai procedimenti giudiziari che lo vedono coinvolto (e nei quali, fin qui, non ha ricevuto condanne) Cerroni è tornato a definire la cittadella dei rifiuti “un gioiello industriale e tecnologico, che per anni ha accolto le visite di delegazioni straniere”. Tanto che, ha ricordato, proprio sulla base delle soluzioni tecnologiche adottate nel ‘tmb 2’ (andato a fuoco a giugno del 2022, ndr) “si sta completando a Madrid la realizzazione di un modernissimo impianto da 700mila tonnellate l’anno”. Degli impianti romani, invece, non restano che filmati di repertorio, come quelli che Cerroni ha consegnato ai commissari su chiavette usb. Filmati realizzati nel 2014 “per l’allora sindaco Marino, che pur senza aver mai visitato Malagrotta non perdeva occasione per definirla, spregiativamente, una buca”, ha ricordato, pregando i commissari di guardare i video prima del sopralluogo sul sito dell’incendio, in programma per domani. “Durano solo 11 minuti”, è riuscito a dire con un filo di voce. Quasi che, prima ancora che una lunga e tormentata vicenda giudiziaria, la storia di Malagrotta restasse per ‘il supremo’ soprattutto una questione sentimentale.
E se a far luce sui fatti della ‘città delle industrie’ ci penseranno gli inquirenti, a tamponare l’ennesima crisi del pattume romano saranno invece, come sempre, le esportazioni fuori regione, che anche prima del rogo del 24 dicembre tenevano in equilibrio il disastrato ciclo di gestione dei rifiuti della Capitale. Nel 2022, stando ai dati forniti alla Commissione ‘ecomafie’ da ARPA Lazio, il 47% delle oltre 140mila tonnellate di rifiuti in uscita dal ‘tmb 1’, quello distrutto dall’incendio della vigilia di Natale, era infatti stato destinato a recupero energetico o smaltimento in discarica in impianti in altre regioni e il 10% in altre nazioni. Complessivamente, complice l’inadeguatezza del sistema impiantistico romano, nello stesso anno il Lazio aveva inviato a recupero e smaltimento fuori regione oltre 425mila tonnellate di rifiuti non riciclabili. Altre 295mila tonnellate erano state inviate nell’unico impianto di termovalorizzazione del Lazio, quello di San Vittore, mentre 353mila tonnellate di scarti non combustibili erano stati smaltiti nelle tre discariche regionali, due a Viterbo e una ad Albano Laziale, “a prezzo di aver quasi completamente esaurito le disponibilità esistenti” ha spiegato Marco Rizzuto di ARPA Lazio.