Una corsa contro il tempo per arginare lo scorrere dei veleni che goccia a goccia, lenti ma inesorabili filtrano dai cumuli di rifiuti tossici, contaminando aria, suoli e falde acquifere in quella parte di Campania Felix devastata dallo scellerato sodalizio tra la criminalità organizzata e i ras del pattume. È partita oggi la messa in sicurezza permanente della ex Resit di Giugliano (NA), la discarica simbolo dello scempio ambientale tra le province di Napoli e Caserta, l’invaso di proprietà di Cipriano Chianese, ritenuto l’inventore dell’ecomafia in Campania e condannato appena dodici giorni fa dalla V sezione della Corte d’Assise di Napoli a vent’anni di reclusione per disastro ambientale ed avvelenamento della falda acquifera. Il buco nero che ha ingoiato per un quarto di secolo le scorie tossiche di mezza Italia e dal quale per anni sono scivolati in falda veleni di ogni sorta, sarà messo in sicurezza.
«Non si può parlare di bonifica vera e propria, poiché significherebbe ripristinare lo stato “ex-ante” e questo è operativamente ed economicamente impossibile: l’Ispra ha calcolato che servirebbero 220 milioni di euro – spiega Mario De Biase, commissario di Governo dell’Area Vasta di Giugliano – quella che comincia qui è una fase di messa in sicurezza». Le operazioni di messa in sicurezza di emergenza prevedono un capping di due metri (con i vari strati di hdpe, drenante, geocomposto, FOS, l’ultimo metro di terreno vegetale e l’utilizzo del compost fuori specifica prodotto dall’impianto di Salerno negli ultimi 30 centimetri) l’utilizzo di impianti per l’estrazione del percolato e del biogas, più vari presidi di sicurezza (più che mai necessari dopo i vari episodi incendiari dello scorso anno) che nell’arco di 12 mesi dovrebbero trasformare la bomba ecologica in un parco urbano aperto al pubblico.
Se, come sembra, saranno rispettate le previsioni, per i destini della ex Resit si tratterebbe di un’accelerata a dir poco inaspettata dopo una storia scandita soprattutto da ritardi e pastoie burocratiche. L’ultima in ordine di tempo lo stop inflitto dall’Anac, l’Autorità Nazionale Anticorruzione presieduta da Raffaele Cantone, che aveva bloccato su segnalazione di Sogesid circa un anno e mezzo fa l’affidamento dei lavori alla TreErre (vincitrice della gara nel 2014) per via del presunto coinvolgimento di alcuni suoi dirigenti nell’inchiesta di Mafia Capitale. La vicenda si è sbloccata a maggio, quando il pronunciamento del Tar del Lazio ha sancito l’estraneità dei vertici aziendali rispetto alle accuse di collusione sollevate.
«Dopo un anno e mezzo, due anni questi problemi sono stati chiariti, quindi mi pare che dopo aver perduto un anno e mezzo due anni sia arrivato il momento di non perdere più neanche un minuto di tempo – ha commentato il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, interrogato sul rispetto della scadenza dei lavori di messa in sicurezza entro il prossimo anno – per quello che ci riguarda controlleremo con il fiato sul collo l’esecuzione dei lavori e controlleremo che siano fatti come previsto nel capitolato di appalto».
Sequestrata definitivamente nel 2004, dal 2008 l’ex Resit è stata il fulcro delle indagini condotte dalla Procura di Napoli sui sodalizi criminali che dalla fine degli anni ’80 e fino ai primi anni del nuovo millennio hanno scandito i ritmi dell’illecita gestione dei rifiuti nei territori a cavallo tra la provincia partenopea e il casertano. Indagini sfociate nel maxiprocesso che, nell’arco di un dibattimento durato ben sei anni, ha visto condannati, tra gli altri, Cipriano Chianese e, prima di lui, il boss dei casalesi Francesco Bidognetti. Principale atto d’accusa nel processo, l’agghiacciante relazione del consulente tecnico Giovanni Balestri stilata a valle delle analisi sui terreni della cosiddetta “area vasta di Giugliano”, la cittadella dei rifiuti tra Napoli e Caserta che in 220 ettari conta ben cinque discariche tra le quali, appunto la ex Resit.
È Balestri che nella sua disamina mette per primo mette nero su bianco gli spaventosi numeri della discarica di Chianese. Numeri che raccontano un avvelenamento lungo un quarto di secolo: secondo il consulente la vecchia cava di pozzolana avrebbe inghiottito nell’arco di più di venticinque anni 806.590 tonnellate di rifiuti di cui 341 mila pericolosi, smaltiti per lo più in forma abusiva ed in totale assenza dei presidi tecnici necessari ad impedire la contaminazione delle matrici ambientali. Niente impermeabilizzazione dei suoli, né captazione del percolato o del biogas, con gli inquinanti liberi di avvelenare i terreni, le falde e l’aria. Veleni provenienti da tutt’Italia, compresi i fanghi tossici dell’Acna di Cengio. Entro il 2060, si legge nella perizia, la contaminazione della falda acquifera in corso avrà raggiunto il suo culmine. La fuoriuscita di percolato, scriveva Balestri, se non confinata con adeguate tecniche di bonifica continuerà inesorabile fino al 2080, avvelenando irrimediabilmente l’acqua destinata a decine di comuni tra le province di Napoli e Caserta.
Oggi si cerca di porre un argine a quella contaminazione, per quello che lo stesso De Luca ha evidenziato essere un intervento simbolico, al pari di quello della rimozione delle ecoballe, necessario a ripulire l’immagine della Campania.