L’Italia ricicla oltre l’80% dei suoi rifiuti da costruzione e demolizione, ma usa gli inerti recuperati quasi esclusivamente per rilevati e sottofondi stradali. Rientrata la tensione sull’end of waste serve creare un vero mercato, “o il sistema rischia di collassare” avverte il presidente di ANPAR Paolo Barberi
Secondo ISPRA, degli oltre 77 milioni di tonnellate di rifiuti da costruzione e demolizione generati in Italia nel 2021 (in forte crescita per effetto dei bonus edilizi disposti nel periodo post pandemico), l’80,1% è stato trattato in impianti di riciclo e trasformato in inerti recuperati pronti per essere reimpiegati nei settori dell’edilizia e delle infrastrutture. Dieci punti in più rispetto al target fissato dall’Ue, che dal 2020 chiede a ogni Stato membro di raggiungere una quota di riciclo pari ad almeno il 70%. Un risultato “che dimostra la maturità della filiera, ma il mercato non è altrettanto maturo” ha spiegato il presidente di ANPAR Paolo Barberi in occasione di un digital talk di Ricicla.tv. Gli inerti riciclati hanno infatti trovato collocazione quasi esclusivamente in rilevati e sottofondi stradali. Vale a dire le applicazioni meno nobili, mentre potrebbero essere utilizzati anche nel confezionamento di miscele con leganti idraulici, calcestruzzi e addirittura nel ciclo di produzione del cemento.
Qual è lo scenario?
“Su 77 milioni di tonnellate, circa 60 vengono riciclate e rese disponibili al mercato. L’80,1% di riciclo racconta di un settore industriale maturo, cresciuto dal punto di vista tecnologico, ma non racconta di un mercato altrettanto maturo. Tante quantità di inerti riciclati, rese disponibili a valle delle verifiche tecniche e ambientali previste dalla legge, sono pronte, ma il mercato stenta ad assorbirle tutte, non solo in applicazioni avanzate ma anche per quelle meno nobili come rilevati e sottofondi stradali”.
Questo, oltre che per la diffidenza dei potenziali acquirenti, anche per una questione di costi. In molti casi gli inerti vergini continuano a costare meno di quelli riciclati…
“A un’analisi dell’associazione è risultato che la sola verifica tecnica e ambientale di un aggregato riciclato come richiesta dal nuovo decreto end of waste costa circa 40 centesimi di euro a tonnellata. Il che va benissimo, visto che siamo i primi a spingere sulla qualità dei prodotti riciclati. Il problema è che le grandi forniture per la realizzazione di strade, sottofondi e rilevati spesso vengono aggiudicate proprio intorno ai 40 centesimi a tonnellata. Gli impianti di riciclo sono costretti a vendere il prodotto allo stesso prezzo, e tra l’altro non riescono nemmeno a venderlo tutto, visto che molto materiale resta negli impianti creando problemi per gli stoccaggi. Ecco, spingere la qualità deve significare anche mettere il mercato nelle condizioni di funzionare bene. Se non troviamo strumenti idonei rischiamo di mandare al collasso il sistema”.
Cosa si può fare?
“Uno strumento normativo importante è quello dell’end of waste, ma un’altra leva strategica è quella dei CAM. Che sono applicabili solo alle pubbliche amministrazioni, e che tuttavia darebbero comunque una spinta importante alla domanda di aggregati riciclati. Un altro strumento è poi quello dei certificati del riciclo, tema che andrebbe ripreso per dare uno sprint ulteriore al mercato”.
Veniamo all’end of waste: dopo le tensioni sul decreto entrato in vigore lo scorso novembre (la cui operatività è stata successivamente rinviata) è allo studio dei portatori d’interesse un nuovo testo messo a punto dal Ministero dell’Ambiente. È cambiato il clima rispetto a quello di qualche mese fa?
“Sicuramente. Siamo stati obbligati a mettere in campo una comunicazione a volte forse eccessiva perché il decreto, per come era scritto, rischiava di far chiudere l’80% dei nostri impianti. Il nuovo testo, invece, risolve quasi tutte le criticità che avevamo evidenziato. Abbiamo avanzato nuove osservazioni sulle caratteristiche tecniche e ambientali legate all’utilizzo specifico dei prodotti riciclati, ma posso affermare con certezza che le aziende sono state tranquillizzate dal testo proposto dal Ministero dell’Ambiente, che ora da quello che mi risulta è in fase di ultimazione per poi essere notificato alla Commissione Ue”.